Trash

Per Daldry i ragazzi sono sempre stati l’ultimo motivo di speranza.
È nei loro sguardi che riusciamo ancora, nonostante tutto, a trovare spazio per un briciolo di utopia. È lì che si annida l’ultima ancora di senso alla quale aggrapparsi quando il mare mosso dagli orrori della storia rischia di farci affondare. Sono loro a rappresentare una possibilità là dove gli occhi degli adulti si sono a tal punto sporcati da non riuscire più a percepire il colore, la morbidezza della luce, la dolcezza dei volumi.
Non rappresentano, però, una via di fuga dall’angoscia quotidiana. Non sono un’isola felice che riesca per davvero a distrarre l’occhio dall’orrore. Piuttosto con quell’orrore ci convivono, ci stanno affianco e, spesso, ci obbligano a guardarlo meglio.
Già in Billy Elliot la storia piana e individuale del ragazzino che vuole ballare ad ogni costo per esprimere la sua rabbia e le sue emozioni, è appena un “la” suonato per metterci di fronte alla difficoltà dei rapporti generazionali e il malessere sociale degli scioperi dei minatori.
In Molto forte, incredibilmente vicino, l’infanzia si confronta addirittura con il dramma epocale dell’11 settembre e tutto il film è un tentativo accorato di mantenere il sogno anche nell’elaborazione impossibile di un lutto che è al tempo stesso individuale e collettivo.
The reader, da parte sua, ribalta il problema mettendo al centro l’incapacità dei figli tedeschi ad elaborare la compromissione dei propri genitori con il nazismo, definendo i contorni della rottura generazionale più totale di tutto il cinema del regista inglese.
Persino The hours chiude il cerchio delle storie costruite intorno a Mrs Dalloway nel bisogno di ricongiungersi all’epifania dorata di quell’impressione di perfezione che solo per i bambini è un dato così scontato. E il confronto con la morte, fosse pure solo quella di un uccellino, si riempie di stupore quando è un fanciullo a indicarci in che direzione guardare
Il cinema di Daldry ha sempre bisogno di un preciso sfondo sociale per definire la profondità dei suoi personaggi. Persino The hours, che apparentemente è il suo film meno ancorato al bisogno di un discorso socialmente forte, ha bisogno dell’incubo dell’AIDS o del ricordo dei conflitti mondiali per slanciarsi verso l’alto, per cominciare a dire.
Il suo cinema non cerca la Storia come sfondo, ma come controcanto. I suoi film intrattengono con la realtà sociale un rapporto peculiare.
Uomo e società non sono uno dentro l’altro o uno per l’altro, ma uno con l’altro. Si dispongono, sulla superficie dello schermo nella dinamica di un montaggio continuamente alternato che non a caso è la cifra stilistica preferita dall’autore.
Ma Daldry è anche consapevole di quanto l’infanzia sia vilipesa e abbandonata nel mondo non solo contemporaneo. Da poeta, sa che il ragazzo è per definizione innocente e che l’innocenza deve morire perché possano continuare a esserci nel mondo fame, guerra e dolore.
Trash esaspera questa consapevolezza approfondendo lo sguardo sulle contraddizioni del nostro vivere alle soglie del nuovo millennio.
Sceglie un contesto sociale corrotto e mostruoso come quello del Brasile in attesa delle sue olimpiadi e stringe l’obiettivo fino a comprendere nell’inquadratura quella parte di società che sopporta le ingiustizie peggiori: i bambini che raccolgono i rifiuti nelle grandi discariche all’aperto.
Su questa realtà imposta le linee di un racconto di genere: una trama gialla che parte dal ritrovamento di un portafogli che contiene tutti i documenti che potrebbero incastrare il potente di turno.
Gli ultimi, quelli che vivono nella spazzatura, che non hanno altro sogno che arrivare alla fine della giornata ci obbligano a scendere a patti con il nostro esserci abituati all’ingiustizia sociale dilagante.
Il lato utopico di Trash non è tanto quello di riuscire a raccontare una storia edificante scendendo nelle discariche, ma nel suo volerci fare da specchio per vedere magnificato il lato più oscuro del nostro essere: l’adeguarci all’abitudine dell’indifferenza.
L’idea sulla quale ci assopiamo tutti i giorni, quella cioè che in fondo niente possiamo fare per cambiare le cose per quanto brutte siano, viene così fatta urtare contro una parete di sogno che nasce dalla più elementare delle constatazioni: che certe cose vanno fatte semplicemente perché è giusto farle.
Così si comportano i ragazzini di questo film stranamente affamato di lieto fine. Con caparbietà, con spirito di amicizia, con la forza dell’aver condiviso per tanto tempo le cose più piccole e le sorprese più inaspettate. Perché questi bambini, quando trovano un portafogli nella discarica, se ne dividono il contenuto. Se uno di loro sta male, l’altro resta sicuramente al suo capezzale. Fanno le cose che in fondo fanno tutti i ragazzi e che noi, da adulti, abbiamo disimparato. E seguono una pista, incredibile a dirsi, francescana (non a caso il punto di arrivo è un cimitero votato al Santo di Assisi) che ritorna al bisogno di una vocazione alla carità evangelica che nasce dal basso e non da una Chiesa che ha perso ogni contatto col Reale.
L’incursione nel cinema di genere è un passo strano nella cinematografia di un regista che ci ha abituati col tempo a un cinema elegante, musicale e stratificato. Eppure il film resta coerente allo spirito dell’autore e riesce a stare nei limiti del thriller senza snaturare troppo la passione per le inquadrature perfettamente calibrate e per il consueto gusto per un montaggio didattico e poetico al tempo stesso. Contribuisce al tutto la consueta maestria con cui Daldry dirige i suoi giovani protagonisti, restituendo un ritratto dell’adolescenza che cerca la luce in ogni chiaroscuro.
Resta il sospetto di quanto possa essere, in fondo, commerciale cavalcare l’onda del malessere collettivo con una storia di fondo edificante.
Ma, forse, questo problema riguarda prima di tutto quanto è stato capace di restare bambino lo spettatore che guarda il film.
(Trash); Regia: Stephen Daldry; sceneggiatura: Richard Curtis; fotografia: Adriano Goldman; montaggio: Elliot Graham; musica: Antonio Pinto; interpreti: Rooney Mara, Martin Sheen, Wagner Moura, Selton Mello, André Ramiro, José Dumont, Nelson Xavier, Stepan Nercessian; produzione: O2 Filmes, PeaPie Films, Working Title Films; distribuzione: Universal Pictures; origine: UK, 2014; durata: 115’
