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Festival di Roma, all’anno prossimo con dei veri obiettivi

Pubblicato il 22 novembre 2012 da Antonio Valerio Spera


Festival di Roma, all'anno prossimo con dei veri obiettivi

A quasi una settimana di distanza dalla chiusura del settimo Festival Internazionale del Film di Roma, il primo firmato Marco Muller, le opinioni contraddittorie sulla sua effettiva riuscita continuano ad alimentare discussioni tra gli addetti ai lavori. Esperienza fallimentare? Interessante spostamento verso un programma più cinefilo? E le star dove sono finite? E i prezzi dei biglietti così alti? Persistono le domande, i dubbi. E queste perplessità sicuramente non sono campate in aria: di problemi infatti la manifestazione ne ha mostrati diversi - e a prescindere dalle scelte della giuria, contestabili sì ma non più di tanto influenti sul giudizio complessivo della Mostra. Ops, Festival. Ma in fondo il lapsus non è casuale. E allora cominciamo proprio da questo, perché il tentativo da parte di Muller di far diventare l’evento romano una riproposizione della rassegna del Lido da lui diretta fino all’anno scorso è apparsa evidente sin dalle sue prime dichiarazione da direttore: anteprime mondiali, una selezione ufficiale con un concorso, un fuori concorso, una sezione dedicata al cinema italiano (Prospettive Italia), una al cinema del XXI secolo (cioè?!) e la “gloriosa” e fortunata Alice nella città come sezione autonoma. Con qualche piccola differenza, ma alla fin fine Roma come Venezia nel segno di Marco Muller.

Fino a qui tutto va bene, non è solo la struttura che fa un evento cinematografico: sono i contenuti (film, incontri, star) ad essere fondamentali. Essi però devono anche essere di una portata proporzionale alla grandezza dell’evento stesso. Dodici milioni di Euro di budget, una città come Roma, una struttura fantastica e funzionale come l’Auditorium Parco della Musica, sei edizioni alle spalle con ottimi risultati: considerato tutto questo bisognava aspettarsi parecchio. Abbiamo sperato, abbiamo aspettato. Abbiamo assistito ad una conferenza stampa di presentazione dove è prevalsa la delusione per un programma sulla carta non avvincente ma è risalita subito l’attesa per l’annuncio (da parte dello stesso direttore) dell’arrivo di Tarantino. Una volta iniziato il Festival, abbiamo visto i primi film, abbiamo capito che in fondo la selezione nascondeva prodotti più che interessanti e che spingeva molto sul gusto cinefilo, e l’abbiamo iniziata ad apprezzare. Poi però la voce che Bill Murray dava forfait, il fatto che si taceva su Tarantino, la visione di red carpet semideserti e di sale con tante poltrone vuote, ci ha fatto tornare un po’ di tristezza e un po’ di nostalgia. Da una parte c’era la sensazione di vedere un cinema che negli anni scorsi non era passato per Roma (film coraggiosi, innovativi, narrativamente e stilisticamente complessi), dall’altra la consapevolezza che una rassegna del genere mancava di appeal sul pubblico della capitale. Un pubblico sicuramente da stimolare, abituare, “istruire” su quest’aspetto (e il Festival lo ha fatto), ma che ha anche bisogno del ‘bonus popolarità’ per uscire di casa e raggiungere l’area del Festival. E di star, vere star, ce ne sono state veramente poche, così come sono state poche le opere “attira-pubblico”. Sylvester Stallone è stato l’unico grande divo di quest’edizione. Sul red carpet sono passati James Franco, Guillermo Del Toro, Valerie Donzelli, Riccardo Scamarcio, Michele Placido, ma solo il vecchio Sly ha suscitato il delirio da grande evento. Troppo poco per un Festival che è nato come festa cittadina. Ah già, la vecchia Festa del cinema, così si chiamava prima la manifestazione. Anzi più che chiamarsi, era una festa. E funzionava, così come funzionava quando cambiò il nome in festival ma continuava comunque a portarsi dentro la natura "festiva". Ora questa natura è quasi sparita e pur essendo vero che di tempo effettivo per lavorare Muller ne ha avuto poco, è altrettanto vero che poteva anche mettere da parte la regola delle anteprime mondiali (tra l’altro falsamente rispettata in toto, vedi Il cecchino di Placido già uscito in Francia) e cercare di portare a Roma quel buon cinema (passato per altri festival o uscito nei paesi d’origine) che funziona anche col grande pubblico.

La prima edizione di Marco Muller ha avuto i suoi pregi e i suoi difetti. Abbiamo amato molti film, altri ci hanno intrigato, altri ci hanno incuriosito, alcuni ci hanno fatto fischiare pesantemente, altri divertire, altri annoiare (per questo leggete le nostre recensioni dei film del Festival).
Ci è piaciuto il coraggio della selezione ma non abbiamo trovato una vera e propria anima in essa. Abbiamo visto ottimi documentari (L’insolito ignoto, Pinuccio Lovero, Pezzi), ma ci è mancata la sezione Extra. Abbiamo avuto modo di scoprire nuovi autori italiani grazie a Prospettive Italia (Amato, Gassman) ma si sentiva fortemente l’assenza dei famosi “duetti” delle scorse edizioni. Il sogno di avere tutto questo insieme non è impossibile da realizzare, soprattutto perché Muller ha numeri, esperienza e competenza. E da qui a novembre 2013 avrà anche il tempo necessario. Per accaparrarsi i film e le star che vuole il pubblico, ma soprattutto per definire i veri obiettivi di questo Festival.


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