Festival Tertio Millennio - Bomb Harvest

Il Laos è il paese più bombardato del pianeta. Dilaniato dalle azioni dei B52 durante la guerra del Vietnam, della sua superficie sono rimasti immuni alla follia americana solo pochi ettari. Ma in quegli anni non solo quel territorio è stato completamente devastato, è stato anche vittima di un danno duraturo nel tempo, un problema che affligge intere regioni ancora oggi e che riguarda gli ordigni inesplosi, centinaia di migliaia di bombe semi-sepolte nel terreno e potenzialmente attive che potrebbero saltare in aria ad ogni minima vibrazione. È questo lo scenario in cui Kim Murdaunt ci introduce con il suo documentario Bomb Harvest. Seguendo le azioni di Laith Stevens, artificiere australiano esperto nella bonifica di aree bombardate, il regista ricostruisce la storia delle popolazioni tormentate dalla insensatezza della guerra, violentate dallo sconsiderato uso di armi per nulla intelligenti (ma quando mai lo potranno essere?) che prima hanno provocato la morte di un’intera generazione e che ancora oggi minacciano di cancellarne un’altra. Stevens è nel Laos per creare una squadra di artificieri locali esperti come lui nella bonifica dei territori dalle grandi bombe. Negli occhi del gruppo di abitanti del luogo impegnati in questo “corso di formazione” si legge una speranza, speranza che gli anziani dei villaggi non hanno più, condizionati dalla memoria del conflitto. Ma soprattutto si avverte la necessità di essere parte di una attività di fondamentale importanza per migliorare le condizioni di vita della propria gente. Nel Laos infatti l’agricoltura di sussistenza che ha sempre permesso alle popolazioni locali di sopravvivere, è rischiosa proprio a causa della presenza degli enormi ordigni che spuntano inavvertitamente al centro dei terreni coltivabili. La raccolta di frutti e piante nella foresta è ancor più pericolosa a cause delle “bombies”, le piccole cariche esplosive che componevano le bombe a grappolo largamente usate durante i bombardamenti, e che possono scoppiare anche solo con la pressione involontaria di un piede, quasi come mine. Ma la povertà dilagante fa sì che si corrano rischi ancor più gravi. Per guadagnare qualche soldo, il metallo di cui sono composte le bombe viene venduto a rigattieri o trafficanti e può valere quanto basta per sfamare una famiglia per mesi. Sono i bambini i più imprudenti. Murdaunt ci mostra come vadano in giro alla ricerca di oggetti in ferro per rivenderli, senza farsi spaventare eccessivamente dalla presenza di una bomba, anzi quasi le usano come giocattoli. È nei loro di occhi che si specchiano i sentimenti più contrastanti e profondi che lo spettatore condivide: si vedono l’innocenza negata dal bisogno e la paura della fame e della povertà, l’imprudenza e la necessità che conducono a giocare con la propria vita. È un misto di terrore e di speranza quello che ci racconta il documentarista australiano, sensazioni che si avvertono anche durante i momenti di svago della squadra di artificieri, momenti in cui si cantano le vecchie canzoni della propria regione, in cui si parla poco e si guarda l’orizzonte. Laith Stevens è un personaggio singolare, che sta benissimo di fronte a una macchina da presa, divertente e istrione, sorride, dà fiducia ai propri “studenti”, si sente a suo agio nel fare da protagonista al lavoro di Murdaunt, ma anch’egli non è insensibile al dolore e alla paura del pericolo. La sua ironia a tratti si fa amara, i tratti gioviali del volto si induriscono il sorriso scompare. È in quel momento che si ritorna a capire quanto sia grave e importante la sua missione e quanto dovuto ad una intera popolazione, un film del genere. Con la speranza che possa servire a dissotterrare e portata alla luce, come una delle bombe di cui parla, una vicenda quasi sconosciuta, prima che qualcun’altro la calpesti e faccia saltare in aria ancora una volta vite innocenti.
(Bomb Harvest); Regia: Kim Murdaunt; sceneggiatura: Kim Murdaunt e Sylvia Wilczynski; montaggio: Slogane Klevin; musica: Caitlin Yeo; interpreti: Laith Stevens (sé stesso); produzione: Lemur Films; origine: Australia, 2007; durata: 88’.
