Fish Tank

Una camera a mano che segue, insegue e a volte scruta i personaggi; un paesaggio inglese freddo, povero, dominato da colori sbiaditi ed avvolto in un’atmosfera livida; una famiglia (tutta al femminile – madre e due figlie) allo sbando, in cui regna l’incomunicabilità e che si regge su rivalità celanti i veri sentimenti. Sono questi gli elementi estetico-contenutistici che presenta il ritorno alla regia di Andrea Arnold, già autrice del bellissimo Red Road, premiato tre anni fa al Festival di Cannes.
Inserendosi perfettamente sulla scia di quel cinema sociale inglese alla Loach o alla Winterbottom, Fish Tank ha il pregio però di allontanarsi da esso cambiando il motore e l’obiettivo della narrazione. E’ sempre la ricerca di libertà a muovere i personaggi, ma nel film della Arnold assistiamo ad un spostamento sostanziale rispetto alla tradizione anglosassone dei registi su citati: non viene infatti presentata una storia di uomini in lotta con la vita, che rispecchia ed esemplifica una situazione sociale più larga o addirittura universale, mettendo al centro del proprio discorso cinematografico una forte analisi critica del mondo contemporaneo, ma al contrario rende questo elemento sociale cornice di un racconto in cui sono le dinamiche e i rapporti tra i personaggi ad essere protagonisti, indirizzando la sua indagine verso le psicologie delle figure rappresentate sullo schermo.
La critica sociale, dunque, non costituisce più il fine della narrazione, bensì lo spunto da cui essa prende vita. Andrea Arnold non sente il bisogno e l’esigenza di raccontare le tappe di una crisi sentimentale ed affettiva causata da una condizione sociale che non lascia intravedere possibilità di fuga e di cambiamento, ma diversamente parte da essa considerandola un dato di fatto ormai consolidato. E’ importante sottolineare quest’aspetto, perché ad una visione non attenta Fish Tank potrebbe assomigliare sin troppo, seppur con un’estetica personale, al cinema inglese da noi già noto. Ma invece non ci si può fermare all’apparenza e non si può non notare che l’autrice non vuole dimostrare nulla e che desidera semplicemente raccontare una cruda storia di solitudine, in cui la speranza di libertà alla fine vince su tutto.
Sorretta dalle intense perfomance degli attori (bravissima la giovane sorpresa Katie Jarvis) e costruita da una regia ed un montaggio che alternano notevoli ellissi narrative ad altrettante sequenze in cui la durata del racconto coincide con quella reale, l’opera seconda di Andrea Arnold si fa apprezzare per la giustapposizione che presenta tra un gioco continuo di immagini e metafore (il cavallo tenuto legato con una catena, un palloncino che nel finale prende il volo, il ballo visto come gesto liberatorio e di coesione) e l’impianto secco e realistico della forma estetica. Sicuramente la storia non offre tanti spunti di originalità e la narrazione nella parte centrale è eccessivamente dilatata (forse qualche taglio avrebbe giovato al film), ma Fish Tank conferma la bravura e la finezza di un’autrice che tenta di spingere il cinema inglese verso una nuova tappa ed un nuovo orizzonte.
(Fish Tank); Regia: Andrea Arnold; sceneggiatura: Andrea Arnold; fotografia: Robbie Ryan BSC; montaggio: Nicolas Chaudeurge; suono: Joakim Sundström; interpreti: Katie Jarvis (Mia), Michael Fassbender (Connor), Kierston Wareing (Joanne), Rebecca Griffiths (Tyler), Harry Treadway (Billy); produzione: KASANDER, BBC FILMS, UKFC, LIMELIGHT; distribuzione: MK2; origine: Regno Unito; durata: 124’.
