Fratelli in erba

Leaves of grass è il titolo originale.
Misteri della traduzione italiana! Alla ripresa testuale del titolo del capolavoro poetico di Walt Whitman si è preferito, in nome di un umorismo abbastanza becero, l’assai meno evocativo Fratelli in erba che, come lo giri e come lo volgi, non vuol dire assolutamente niente. Perché, nella vita, si può essere scrittori in erba o spacciatori in erba (e già qui si arriva ad un doppio senso), ma fratelli si è dalla nascita alla morte senza che ci sia un apprendistato in mezzo.
Sicché si perde il gioco doppiamente allusivo di un titolo che si fa comprensibile solo quando qualcuna delle carte del racconto è già stata buttata sul tavolo da gioco.
Il film mette in scena la storia di due gemelli (i fratelli del titolo italiano) che sembrano essere, come da copione sin troppo risaputo, l’uno l’opposto dell’altro. Il primo (Bill) è un docente universitario di lettere classiche amato da tutti e proiettato verso un futuro luminoso nel mondo delle minuzie di chi traduce Catullo a vista. La sua vita è pulita, ordinata, precisa anche nei momenti più grotteschi come quando respinge le profferte amorose di una studentessa che non esiterebbe a spogliarsi nel suo studio pur di mettergli le mani addosso. Amante della razionalità del pensiero greco e delle magie delle poesie del grande Walt (di qui la prima allusione del titolo), Bill torna nel suo paese natio non appena apprende della morte del fratello Brady avvenuta in circostanze misteriose (colpito dalla freccia scoccata da una balestra).
Quest’ultimo, in realtà non è morto affatto, ma è intenzionato ad usare la scusa del proprio funerale al fine di convincere il gemello a fargli da alibi mentre si reca ad uccidere il suo finanziatore ebreo. Il delitto è reso necessario dal fatto che Brady vuole smettere di spacciare erba (secondo ammiccamento del titolo) per dedicarsi alla famiglia con tanto di pargolo in arrivo.
Di mezzo tra i due c’è una madre che, ancor giovane, si è chiusa in un ospizio ad aspettare la morte dopo che i sogni degli hippies sono sfioriti lasciando nelle mani dei giovani di allora solo le spine.
Figura genitoriale con la quale è impossibile fare i conti, la donna (una Susan Sarandon cui ormai basta solo il volto a fare da Icona) fissa da una finestra i cocci di famiglia che non si riescono a ricomporsi in nessun modo.
Tim Blake Nelson è attore ed autore di difficile definizione all’interno del panorama cinematografico statunitense. Di origini ebree l’ancor giovane regista ha sin qui modulato storie tra loro eterogenee per gusto ed ispirazione. Ha toccato le sue radici con un film sulla Shoah (La zona grigia) che ha raccontato l’orrore dei Sonderkommando di Auschwitz con un tono da film carcerario anche troppo pulito per essere davvero grigio come nel titolo desunto da Levi. Nello stesso anno (il fatidico 2001) ha tentato la strada modaiola dello Shakespeare coniugato al giovanile con O come Otello e Josh Hartnett nella parte di Jago. Ma forse il suo esito migliore resta nell’esordio di Eye of God che distorce la cronologia degli eventi in cerca di un senso che è anche religioso, ma non si restringe ad una confessione specifica.
La dimensione ebraica respira forte anche nell’ironia asprigna di questo Leaves of grass che si costruisce su una sceneggiatura sin troppo fondata sulla parola e sui dialoghi.
Le situazioni spingono il pedale del grottesco con propensione al salto di tono inaspettato, tipico del cinema tutto ebraico dei fratelli Coen. Ma al regista (e al suo parterre di attori) manca la cura del dettaglio che rende l’universo messo in scena giustamente surreale.
Nelle immagini di Tim Blake Nelson che non nascondono il bisogno di un confronto con le proprie radici culturali e familiari (ed in questo risiede forse il link che unisce questa fatica al già citato La zona grigia) non traspare mai quella dimensione quasi metafisica che sospinge le opere dei Coen. Manca lo sguardo ulteriore che elevi il destino dei singoli dalla polvere della terra e lo riconsegni al mistero dell’esistenza. Tutto resta a livello umano e le coincidenze restano solo, meri incroci del destino. Ironia senza il sospetto di un qualcosa che sia oltre.
Il mondo di Tim Blake Nelson resta così grottesco senza mai squarciarsi di Assurdo. E, se ci dice qualcosa dei personaggi che lo popolano, non arriva a dire qualcosa su di noi che in sala aspettiamo i titoli di coda.
(Leaves of grass); Regia e sceneggiatura: Tim Blake Nelson); fotografia: Roberto Schaefer; montaggio: Michelle Botticelli; musica: Jeff Danna; interpreti: Edward Norton (Bill Kincaid / Brady Kincaid), Lucy DeVito (Miss Greenstein), Amelia Campbell (Maggie Harmon), Tim Blake Nelson (Bolger), Randal Reeder (Shaver), Leo Fabian (Wadell), Tina Parker (Sharon), Richard Dreyfuss (Pug Rothbaum); produzione: Class 5 Films, Grand Army Entertainment, Langley Films, Leaves Productions, Millennium Films, Nu Image Films; distribuzione: Eagle Picuters; origine: USA, 2009; durata: 105’
