X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Funny games

Pubblicato il 21 luglio 2008 da Antonio Valerio Spera


Funny games

Se mettessimo a confronto i due Funny Games firmati Michael Haneke il gioco sarebbe trovare le differenze. E sarebbe un gioco buffo, un funny game anch’esso, perché le differenze non sono impercettibili (o quasi) come nei migliori esempi delle pagine dell’enigmistica, ma piuttosto inesistenti. Haneke infatti ripropone il film del’97 inquadratura per inquadratura, dettaglio per dettaglio, realizzando una copia esatta dell’opera originale. Utilizzando dei termini matematici, potremmo definire i due Funny Games uguali, congruenti e sovrapponibili. Gli elementi che infatti differiscono le due opere sono semplicemente la lingua (il primo girato in tedesco, il secondo in inglese) e gli interpreti.
E’ inevitabile dunque chiedersi quali siano i motivi che hanno spinto a questo lavoro di minuziosa riproduzione artistica.
Innanzitutto c’è ovviamente una motivazione commerciale. Non è la prima volta che l’industria americana decide di realizzare un remake di un film straniero di successo a pochi anni di distanza dalla produzione dell’originale. Pensiamo soltanto alle innumerevoli versioni a stelle e strisce degli horror orientali o al grande successo di The Departed, remake di Infernal Affairs. Ma pensiamo anche ad Insomnia di Nolan, rifacimento dell’omonimo film di Erik Skjoldbjærg distribuito solo cinque anni prima.
Solo in pochi casi è capitato che fosse lo stesso regista dell’originale a sedere dietro la macchina da presa del remake. Ultimamente è successo a Hideo Nakata con Ring 2, ma in passato anche il grande Hitchcock diresse il remake americano del suo L’uomo che sapeva troppo. In queste due circostanze, soprattutto nella seconda, si trattava comunque di opere molto diverse dalle originali, sia nella sceneggiatura sia nella costruzione visiva.
Dietro tutte queste operazioni risiede dunque un obiettivo di successo commerciale sfruttando un’idea extraamericana. Sicuramente esso costituisce anche la base del nuovo Funny Games, però, per la sua esatta uguaglianza con il primo film, quest’ultimo più che richiamare queste operazioni ricorda più che altro il lavoro che Gus Van Sant fece con lo Psycho di Hitchcock. Infatti, questi due film una volta caduti nelle mani dei loro registi hanno messo da parte la motivazione commerciale a favore di un lavoro autoriale. Ma se Psycho di Van Sant rientra in un procedimento di riproduzione di un classico tipico della pop art, il significato artistico del film di Haneke è interno alle stesse fondamenta estetiche e tematiche dell’opera originale.
Ecco dunque il secondo motivo che ha spinto alla produzione di questo film. La tematica che stava alla base del primo Funny Games infatti era la rappresentazione della violenza nei media (compreso il cinema) ed il film era anche un discorso sull’opera nell’opera, sulla rappresentazione nella rappresentazione, sulla reciproca rimediazione tra i diversi mezzi di comunicazione. In più la pellicola, che undici anni fa sconvolse il festival di Cannes, era anche un gioco sul pubblico (sulle sue aspettative, sui suoi gusti standardizzati, sulle sue abitudini) che considera il cinema più come uno spettacolo e una narrazione d’intrattenimento che come una creazione artistica.
Uno dei due folli assassini protagonisti del film si rivolgeva spesso allo spettatore dicendo: “Lo so voi siete dalla loro parte”, riferendosi alla famiglia succube del suo macabro gioco; oppure esprimendosi con frasi del tipo: “Lo so, voi volete un ulteriore sviluppo dell’intreccio”. L’altro omicida invece, alla domanda del padre di famiglia “Perché non ci ammazzate subito?”, rispondeva: “Dimentica una parte fondamentale, l’intrattenimento”. Considerando queste battute, le quali vengono riproposte identiche nel remake, e le tematiche a cui sopra accennavamo, è chiaro dunque che la realizzazione di un prodotto uguale raddoppia lo strato di tali argomentazioni. Infatti lo spettatore che non ha visto l’originale rimarrà angosciato e scosso come quello che vide il film nel ’97. Chi invece conosce l’originale si troverà di fronte un’opera che non aggiunge niente di nuovo rispetto al primo film e vedrà annullate tutte le aspettative spettacolari ed ogni pretesa di una novità narrativa.
Haneke con quest’opera porta avanti un discorso implicito sul cinema che contiene al suo interno una potente critica all’industria hollywoodiana ed allo spettatore che adora i suoi prodotti. Non ci troviamo però di fronte ad un cinico sberleffo o ad una presuntuosa presa in giro. Funny Games U.S. è invece l’ennesimo gioco (buffo) sull’arte cinematografica della filmografia del regista austriaco.


CAST & CREDITS

(Funny Games U.S.) Regia: Michael Haneke; sceneggiatura: Michael Haneke; fotografia: Darius Khondji Dreville; montaggio: Monika willi; interpreti: Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt, Brady Corbet, Devon Gearhart; produzione: Halcyon Pictures, Tartan films, Celluloid Dreams, X Filme International, Lucky Red; distribuzione: Lucky Red; origine: USA, Gran Bretagna, Francia; durata: 110’.


Enregistrer au format PDF