X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Fuoriscena

Pubblicato il 28 luglio 2020 da Francesca Pistocchi
VOTO:


Fuoriscena

Inutile ribadire che alla Scala di Milano si entra in punta di piedi: è ciò che fanno Massimo Donati e Alessandro Leone, entrambi specialisti del settore, nel loro primo documentario Fuoriscena – dal 30 giugno su Amazon Prime Video. Il concetto sembra essere quello di costruire una sinfonia per immagini: i protagonisti quasi non parlano, ma si muovono eterei fra le note di Tchaikovsky e i capogiri di Riccardo Nova e dei suoi Nineteen Mantras. La telecamera s’insinua quasi prepotentemente nelle vite dei giovani artisti, ogni inquadratura appare sottolineare l’importanza dell’artificio scenico anche e soprattutto dietro le quinte delle loro esistenze. E i pochi dialoghi a cui ci viene concesso di assistere svaniscono fra le note di un pianoforte lontanissimo e vicinissimo al tempo stesso: superato un accenno di delusione iniziale, iniziamo poi a renderci conto che ogni parola risulterebbe superflua. Per gli studenti della celeberrima accademia, l’unica modalità espressiva possibile è quella della propria arte, che si tratti di danza, di canto o di recitazione. Nella diafana quotidianità che li circonda, i componenti di questa élite (rappresentati da una sorta di Billie Elliot decisamente più taciturno ed enigmatico) vanno a scuola, si esercitano, scherzano fra loro e con gli insegnanti, passeggiano sereni fra le vie di una città irreale e semideserta, osservano i loro corpi volteggiare allo specchio e telefonano alle famiglie disperse chissà dove – il tutto con una freddezza e una lucidità impressionanti. A mano a mano che la cinepresa si addentra in questa sorta di anticamera del mondo, sempre meno importanza è data ai fuoriscena individuali, sicuramente molto simili gli uni agli altri: conservatorio, audizioni, viaggi, audizioni, esami, viaggi, audizioni, lavoro, studio, audizioni. Il peso di tali sacrifici tuttavia non si sente, ma scivola leggero fra le maschere di Don Pasquale e la prorompente vitalità “semi-hollywoodiana” di Puccini.

Lo sguardo di Donati e Leone è volutamente ricercato, impalpabile, esso sfiora le singole esperienze senza mai scrutarle nel profondo, limitandosi così a comporre un quadro d’insieme piuttosto omogeneo: e infatti anche le opere citate si mescolano fra loro, quasi fossero tanti atti di un unico, grandioso spettacolo che però non ci viene mai mostrato nella sua completezza. Mentre sul palco duetti e fantasie musicali prendono finalmente vita, noi rimaniamo nascosti dietro al sipario, ascoltando non tanto i virtuosismi della Tosca quanto i sospiri, le risate e i pensieri sconnessi di chi ancora deve entrare in scena. Ciò che interessa ai due registi è ricostruire gli spazi e i tempi che si dipanano dietro alla Scala, plasmando la cosiddetta normalità nello stesso modo in cui costumisti e scenografi ricreano un universo al di là del nostro universo. Ognuno posa di fronte a sé stesso e al pubblico in sala – non perché si accorga di essere filmato, scrutato, esaminato, ma per semplice abitudine e predisposizione d’animo. Evidente è l’occhio istrionico dei metteurs en scène, intenti a scomporre e ricomporre le realtà che qui s’intersecano, puntando i riflettori su costellazioni inedite: a lasciare inaspettatamente il segno nell’immaginario dello spettatore sono i giochi infantili dei ragazzi, immortalati dall’alto mentre si tirano i gavettoni in un caldo pomeriggio d’estate, fotografati a gruppi di tre nell’esuberanza con cui accennano qualche piroetta o rincorsi nel proprio lieve vagabondare per i rossi corridoi del teatro.

Contrariamente a quanto già prestabilito dagli stereotipi di chi questa dimensione non la conosce affatto, fra le nuove promesse e le guide d’esperienza si stabilisce un legame di sincera empatia: l’accidentale caduta di un ballerino durante la prova finale viene accolta da applausi d’incoraggiamento ed è con delicato rigore che si alternano la battuta e il rimprovero durante le lezioni. C’è dunque un momento per raccontarsi, un momento per ascoltare, un momento per riconoscersi, un momento per accogliere le confidenze altrui e perfino un momento per condividere la gioia di una nevicata invernale. Gli insegnanti sembrano interessarsi alle storie dei loro allievi molto più di quanto non faccia lo stesso lungometraggio, il quale preferisce assistere in silenzio a questa sorta di anti-commedia umana. Il rapporto che si crea fra le diverse generazioni si basa su un rispetto reciproco e paritario, che non sfocia mai nell’esaltazione o nell’avvilimento: non sappiamo se ciò corrisponda effettivamente alla verità, ma è un piacere assistere alla rottura di certi fastidiosi cliché legati al mondo della danza e dell’opera lirica. Si ha quasi l’impressione che i protagonisti di Fuoriscena, in fondo, non stiano facendo nulla di speciale – se non percorrere con straordinaria naturalezza le proprie strade. Che sono anche le nostre.


(Fuoriscena); Regia: Massimo Donati, Alessandro Leone sceneggiatura: Massimo Donati, Alessandro Leone; fotografia: Daniele Azzola; montaggio: Piero Lassandro; interpreti: Allievi dell’Accademia Teatro alla Scala a.a. 2011/2012; produzione: Gabriella Pedranti, Gioia Avvantaggiato per Ester Produzioni e GA&A Productions; origine: Italia 2013; durata: 82’.


Enregistrer au format PDF