Non odiare
Dalla "Settimana della Critica" di Venezia 2020 arriva direttamente in sala l’opera prima di Mario Mancini, il cui titolo presenta il carattere apodittico di una sorta di undicesimo comandamento: Non odiare . Un titolo/comandamento che sembra tuttavia fare a pugni con la tonalità sostanzialmente laconica del film che vive di sottrazioni, soprattutto nei dialoghi e che cerca per quanto possibile di evitare il tono della predica, limitandosi a presentare i personaggi con uno sguardo tutto sommato distante, prova ne sia che l’artificio tecnico più spesso utilizzato è la plongée quasi a voler significare l’impossibilità di avvicinarsi davvero ai personaggi di questo Kammerspiel ambientato in una Trieste pressoché irriconoscibile. Il protagonista è un chirurgo di origine ebraica Simone Segre, interpretato da un Alessandro Gassmann molto torvo e introflesso, ma molto bravo. Vestito con sobria eleganza (da Armani) Gassmann vive in una casa alto-borghese con molti libri, bella mobilia e anche in bella vista una menorah, a segnalare una qualche presenza delle radici etniche e religiose. Per il resto lavora in ospedale (ma gode di molte pause) e il tempo libero lo trascorre pagaiando, un’attività fisica che, si capisce ben presto, non è solo un hobby ma anche un modo di stancarsi, di estenuarsi, di non pensare. Quello a cui Simone non vuole pensare è con tutta evidenza il passato, in particolare la figura del padre, egli stesso medico, anzi dentista, adesso morto che è stato recluso in un campo di concentramento e che per sopravvivere si è prestato a curare i denti dei suoi aguzzini. Del padre è rimasta una casa abbandonata affastellata di cianfrusaglie, alla quale Simone fa fatica ad avvicinarsi non foss’altro per metterla in condizione di esser venduta, perché fa fatica ad affrontare quella relazione tutt’altro che risolta, di cui è correlativo oggettivo un cagnaccio latrante e scorbutico che Simone a un certo punto decide di sistemare in un canile (ma in una delle controverse scene finali lo porta con sé a spasso nel bosco). La scena con cui si apre il film entra a piedi uniti nella sfera non elaborata e rimossa della vita di Simone. Involontariamente egli assiste a un incidente stradale, il colpevole scappa e omette soccorso, Simone vorrebbe e potrebbe prestare invece l’aiuto alla vittima, anche in grazia della sua professione, ma aperto il collo della camicia, scopre tatuata sul petto una svastica e un’aquila bicipite e cambia totalmente idea, la vittima dell’incidente dunque muore. Si scopre che il defunto faceva parte di un gruppo neonazista a cui anche il figlio Marcello è affiliato, con particolare accanimento, come si vede al momento della cerimonia funebre: saluto romano, grida a squarciagola e sguardo allucinato. A provare una mediazione fra questi punti estremi è Marica, la sorella di Marcello. Piuttosto incline alla depressione, la donna, quasi trentenne, si ritrasferisce a Trieste e va a lavorare come collaboratrice domestica da Simone che fa di tutto per darle un lavoro e permetterle di guadagnare, visto che la morte del padre ha lasciato la famiglia in mezzo ai guai (c’è anche un fratellino più piccolo), e se il chirurgo avesse agito diversamente l’uomo si sarebbe salvato, anche se la situazione finanziaria stava precipitando. Da qui ha inizio una lunga serie di incontri fra i vari personaggi, scaramucce, con alcuni colpi di scena, grazie ai quali, almeno in teoria, ai personaggi, a tutti i personaggi è data l’opportunità di provare a fare un salto oltre l’ostacolo dei propri giudizi, pregiudizi e traumi, ma nell’insieme, salvo qualche breve e discontinuo accenno, si fa fatica a immaginare un’evoluzione davvero profonda che modifichi l’assetto soprattutto dei due personaggi maschili, talché il titolo è un messaggio dell’autore agli spettatori, a spese tuttavia dei personaggi che certamente qualcosa hanno potuto imparare, ma non certo trasformarsi. Si tratta di un film onesto (rielaborazione italiana di una omissione di soccorso effettivamente accaduta a Paderborn, in Westfalia), qua e là un po’ meccanico, anche nel modo eccessivo in cui il chirurgo ebreo e i neo-nazi continuano inevitabilmente a incrociarsi e ad interagire, meccanico anche nell’assunto di fondo: le colpe dei padri ricadono sui figli. E soprattutto un po’ meccanico perché nella vita dell’uno come in quella degli altri non sembra mai esserci proprio altro.
(Non odiare); Regia: Marco Mancini; sceneggiatura: Davide Lisino, Marco Mancini; fotografia: Mike Stern Sterzynski montaggio: Paola Freddi ; interpreti: Alessandro Gassmann (Simone Segre), Sara Serraiocco (Marica), Luka Zunic (Marcello); produzione:Movimento Film, Rai Cinema; origine: Italia, Polonia 2020; durata: 96’.