X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Gardener of Eden - Il giustiziere senza legge

Pubblicato il 5 luglio 2008 da Lorenzo Vincenti


Gardener of Eden - Il giustiziere senza legge

Bickleton, New Jersey. Paesaggio classico della provincia americana, uno di quei luoghi/nonluoghi al quale siamo abituati a pensare solo grazie all’immaginario prodotto dall’industria dello spettacolo più grande al mondo. Qui vive Adam, il più classico dei suoi anonimi abitanti, un giovane spiantato, fannullone, che con il ristretto gruppo di amici vive l’età post-adolescenziale tra insuccessi e fallimenti continui. Gardener of Eden inizia con una panoramica perlustrativa delle due entità principali su cui si poggia. La zoomata violenta di Kevin Connolly ci catapulta con decisione dentro il nucleo del film andando a definire in pochi attimi il contesto e il protagonista della vicenda. Ben consapevole dei trucchi su cui si basa il cinema americano classico, il regista decide infatti di scoprire molto rapidamente le proprie carte per tentare di catturare l’attenzione dello spettatore. I primi minuti sembrano porsi così sulla scia della mitologia americana più abusata e molto incline alla fascinazione: toni irriverenti e situazioni da teen-movies, montaggio fortemente ellittico che perlustra con sarcasmo i meccanismi e i ritmi di un microcosmo vizioso e incancrenito, voice over che contribuisce ad accelerare l’immersione nelle profondità di un neo-nichilismo giovanile la cui espressione più moderna sembra essere la creazione del cosiddetto loop (un meccanismo secondo cui Adam e gli altri ragazzi del gruppo trovano sostentamento nello scambiarsi vicendevolmente i beni offerti dai loro rispettivi lavoretti). In queste prime battute Connolly gioca con la sua creatura, si diverte ad interpretare il ruolo del cineasta manipolatore, colui che conosce lo strumento, l’uso che ne è stato fatto in passato e le contaminazioni a cui il mezzo deve sottostare nell’epoca attuale. La prova definitiva dell’intelligenza del gioco approntato arriva nel momento in cui una forte virata muta improvvisamente la traiettoria del percorso narrativo, confutando l’inizio compromettente in favore di una nuova originale stravaganza. La graduale mutazione di Adam che da bamboccio senza speranza si trasforma per puro caso in una sorta di aspirante supereroe dei nostri tempi, diviene l’asse centrale di un film nuovo, che riparte con altre regole, con altri intenti e un’impronta formale alterata (davanti alle scorribande e alle perlustrazioni del protagonista la fotografia assume improvvisamente toni più cupi e stilizzati). L’unica caratteristica a rimanere intatta per tutta la durata dell’opera è la vena burlona e dissacrante dell’esordiente regista americano il quale si dimostra particolarmente abile nel saper trasferire tale spirito sul volto e nelle movenze del protagonista Lukas Haas, bravissimo ad interpretare un giustiziere moderno, al contempo sincero e goffo, buono e ingenuo; un personaggio dal profilo beckettiano che strizza l’occhio agli eroi dei fumetti e a quelli di Hollywood ma che da questi se ne allontana per una evidente mancanza di sex-appeal. Il prototipo al quale l’accoppiata Connolly/Haas sembra piuttosto ispirarsi con sincerità è il Travis Bickle di Taxi driver, giustiziere senza legge ante litteram che reprime, così come Adam fa con lo spacciatore del quartiere o con il borseggiatore, le piaghe della società circostante. Anche se con ragioni diverse e differente drammaticità, entrambi si ritrovano in egual modo a vivere una vita da drop-out, non compresi e rifiutati da un mondo che sembra trovare spazio solo per il marciume o per il menefreghismo. Entrambi cominciano a gridare al mondo la loro presenza, a rendersi visibili il più possibile, l’uno tagliando i capelli come un mohicano e girovagando di notte tra le strade di New York a bordo del suo taxi e l’altro alzando il cappuccio della felpa sul capo e cominciando una caccia notturna tra i vicoli di una periferia anonima, sconosciuta, il cui unico tratto distintivo è un nome che per tener fede al gioco del regista richiama lo schizofrenico personaggio scorsesiano: Bickleton.

Il punto di forza di questo film è sicuramente la sceneggiatura di Adam “Tex” Davis, ex dipendente di una fabbrica di pulitrici per auto, che in linea con la tendenza ultima di Hollywood (vedi Diablo Cody) riesce a creare, senza molta esperienza, un lavoro agile, frizzante con spunti esilaranti che si alternano frequentemente a piccole finestre riflessive aperte nella mente del protagonista Haas. L’espressione abulica del volto offerta da Adam risulta molto efficace perché lascia presagire la presenza di un mondo parallelo, una dimensione che prende forma nella sua mente; una sorta di bat-caverna cerebrale dove il giustiziere, si prepara alla missione, forgiando la propria corazza. La nota piacevole dello script è proprio questa assenza dei pensieri del protagonista. Una sorta di oscurantismo sui viaggi mentali di Adam, quasi sempre allusi e mai esplicitati (a parte qualche piccola pillola). Finalmente, per una volta in un film di questo genere, non si decide a priori da che parte stare, ma si ragiona, si riflette sul ruolo stesso del supereroe, sulla sua funzione sociale. Che senso avrebbe infatti sbattersi per la salvezza di un mondo che nemmeno tiene in considerazione il tuo impegno e che al rumore fastidioso della legalità preferisce l’ordinario silenzio del male endemico? Il film ci dice chiaramente che se a prendere a pugni uno spacciatore non è Batman, Spider-man o Hulk ma uno qualunque come Adam, si rischia di essere rigettati dalla società, o cosa ancor più grave si rischia di essere ripudiati dal gruppo di amici di sempre. Se non è più possibile offrire niente di concreto al mercato del loop allora si è destinati a rimanerne fuori, ad essere disconosciuti. Adam si chiede per tutto il film: “Perché le cose peggiori capitano sempre alle brave persone?”. Quando sembra aver trovato la risposta (“Perché nessuno fa nulla per impedire che ciò avvenga”) tutto intorno a lui cade, tranne il rapporto instaurato con Mona, semplice e dolce ragazza offerta in dono dal destino che saprà in qualche modo comprenderlo ed ispirarlo per futuri cambiamenti. Davanti a insuccessi e nuove piacevoli compagnie, ad Adam non rimane allora che rivedere le proprie idee, gettare via la maschera del diverso e tornare ai canoni della normalità, irreggimentarsi ai meccanismi di un sistema oppure tentare di trovare nuove strade per raggiungere i propri scopi. D’altronde c’è sempre un modo per tentare di creare un mondo migliore. E c’è sempre un futuro che deve essere scritto… to be continued.


CAST & CREDITS

(Gardener of Eden) Regia: Kevin Connolly; sceneggiatura: Adam "Tex" Davis; fotografia: Lisa Rinzler; montaggio: Pete Beaudreau, Michael Berenbaum; musiche: Paul Haslinger; scenografia: Happy Massee; interpreti: Lukas Haas (Adam Harris), Erika Christensen (Mona Huxley), Giovanni Ribisi (Vic); produzione: Appian Way, The 7th Floor; distribuzione: Medusa; origine: Usa; durata: 88’; web info: www.medusa.it.


Enregistrer au format PDF