X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Gnade (Grazia)

Pubblicato il 16 febbraio 2012 da Matteo Galli


Gnade (Grazia)

Il cinema tedesco – bisogna pur dirlo – non versa in grande salute. I due contributi fin qui presentati in Concorso non sono sembrati memorabili. Qualche sbirciata nelle sezioni parallele - la rassegna dedicata ai talenti emergenti, “Perspektive deutsches Kino” e anche la rassegna dei candidati al “Lola” (i “Nastri d’Argento” di Germania) cui è dedicata un’apposita sezione, riepilogo dei migliori prodotti dell’annata appena trascorsa - non è particolarmente incoraggiante. Oggi, a Berlino, c’è stata una specie di ultima chiamata, il terzo film in concorso intitolato Gnade (Grazia) del regista Matthias Glasner, che aveva presentato qua anche il suo film precedente intitolato Der freie Wille, distribuito in molti paesi europei ma non in Italia. Il film, di poco inferiore alle tre ore, raccontava in modo crudo la vita di uno stupratore, interpretato da Jürgen Vogel che per quel ruolo vinse l’Orso d’Argento. Vogel (conosciuto in Italia come l’insegnante interprete de L’onda) è l’icona di Glasner almeno quanto Nina Hoss è l’icona di Petzold. Stavolta interpreta un ingegnere petrolifero che accetta un lavoro super-pagato nella Norvegia settentrionale, addirittura a nord del Circolo Polare Artico. Insieme a lui la moglie, infermiera in un ospedale per malati terminali e il figlioletto dodicenne leggermente immusonito, in pieno trip-I-Phone che filma tutto, soprattutto i genitori, ciò che presenta qualche risvolto leggermente inquietante. Tutta la prima parte del film si svolge nei mesi della notte artica, quando praticamente la luce non fa mai breccia. Dopo poche scene si capisce che la collocazione temporale non è casuale: tornando a casa, esausta per un doppio turno all’ospedale la moglie (interpretata da Birgit Minichmayr, anche lei titolare di un Orso d’Argento, tre anni fa) investe qualcosa/qualcuno con l’automobile e anziché tornare indietro va a casa, racconta tutto al marito che si rimette in macchina, torna sul presunto luogo dell’incidente e, complice il buio, non trova/vede nulla. I due si consultano e, pur con qualche esitazione, decidono di non denunciare niente alla polizia, non lo fanno subito, anche perché non sanno che cosa sia davvero successo, e non lo fanno neanche l’indomani quando scoprono che l’incidente è costato la vita ad una ragazza di sedici anni, sorella di un compagno di scuola del figlio. L’ingegnere, va detto, è anche uno straordinario carrozziere perché in quattro e quattr’otto rimette a posto la macchina, cancellando ogni traccia dell’incidente. Questa è la situazione, chiara dopo circa tre quarti d’ora di film. Ma il film dura 132 minuti? Che fare nella successiva ora e mezza? Glasner e il direttore della fotografia decidono innanzitutto di trarre il massimo profitto dalla location offrendoci innumerevoli scorci dell’oceano, delle nevi perenni, delle luci notturne, della pesca al salmone previa trivellazione del ghiaccio, panoramiche dall’alto con tanto di elicottero, un rigoglio formale che dopo un po’ risulta stucchevole. Dopodiché la parola passa allo sceneggiatore norvegese, il quale si mette a giocare con l’orizzonte d’attesa e l’archivio filmico dello spettatore dispiegando una serie di opzioni. La prima opzione, in ordine di tempo, la chiameremo opzione “Benny’s Video”: il figlio, si diceva un po’ inquietante e con dei deficit relazionali niente male, denuncerà i genitori, per innata cattiveria o per punirli della loro genitorialità disfunzionale (prima del trasferimento in Norvegia i due erano stati molto vicini alla separazione), ma il ragazzino in fin dei conti sembra innocuo, l’opzione uno viene scartata; la seconda opzione è l’opzione “Fatal Attraction”, l’ingegnere non fa in tempo ad arrivare in Norvegia che si porta subito a letto una collega, a cui, in un momento di fragilità, rivela l’accaduto per poi, avendo ben altri pensieri per la testa, decidere di troncare la relazione, ciò che scatena una reazione abbastanza incontrollata della malcapitata, con un paio di telefonate che lasciano presagire che quella rivelazione all’ingegnere potrebbe costare cara, ma poi la collega cambia aria e se ne torna a Oslo, quindi anche la seconda opzione, dopo qualche ammiccamento, viene scartata; la terza opzione è l’opzione “Crimes and Misdemeanors”, il delitto senza castigo e il senso di colpa che il tempo affievolisce “And then one morning, he awakens. The sun is shining, his family is around him and mysteriously, the crisis has lifted. He takes his family on a vacation to Europe and as the months pass, he finds he’s not punished.”, ma neanche questo accade. Non vi rivelo la scelta finale dei coniugi. Sicuramente un ruolo importante lo svolge, da un lato, la stagione dell’anno – dalla notte alla luce, dalla disperazione alla salvezza - e dall’altro la “grazia” di cui al titolo che ha tutta l’aria di essere qualcosa anche di molto connotato in senso religioso, visto che la decisione matura dopo che l’ingegnere fa il suo ingresso in chiesa, mentre la moglie e anche i genitori della ragazza morta stanno cantando in un coro. Un po’ troppo lungo, un po’ troppo compiaciuto, un po’ troppo smaccato nel portare a spasso lo spettatore fra le varie opzioni, il film di Glasner resta tuttavia a mio avviso il migliore film tedesco del concorso, non foss’altro per il fatto che finalmente usciamo dalla Germania, dalla Germania della borghesia colta, quella renana e post-ibseniana del film di Schmid e quella anni ’80 del film di Petzold, targata DDR. Qui, per lo meno, nessuno legge un libro – e l’ingegnere, nei ritagli di tempo, si limita a mandare avanti la sua farm artica, con pecore e galline.


CAST & CREDITS

Regia: Matthias Glasner; sceneggiatura: Kim Fupz Aakeson; fotografia: Jakub Bejnarowicz; montaggio: Heike Gnida; interpreti: Jürgen Vogel (Niels), Birgit Minichmayr (Maria), Henry Stange (Markus), Maria Bock (Wenche), Ane Dahl Torp (Linda); produzione: Knudsen & Streuber Medienmanufaktur, Berlino, Schwarzweiss Filmproduktion Berlino, Ophir Film- und Fernsehproduktion, Berlino; origine: Germania-Norvegia; durata: 132’.


Enregistrer au format PDF