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Go go, Est Europa

Pubblicato il 28 maggio 2007 da Giovanni Spagnoletti


Go go, Est Europa

Se non altro - e di questi tempo non è poco! -, alla Sessantesima edizione del Festival di Cannes resterà il merito di aver segnalato un’interessante “new entry” nell’asfittico firmamento cinematografico internazionale di oggi. Da poco tempo nella Comunità Europea, la Romania risultava essere ancora - con l’eccezione del veterano Lucian Pintilie, un grande filmmaker comunque appartenente alla generazione degli anni Sessanta, e poco altro – una nazione più che sconosciuta nel panorama del cinema del presente. Già un segnale di risveglio si era registrato, proprio sulla Croisette, con la vittoria della prestigiosa Caméra d’Or conferita nel 2006 all’opera prima di Corneliu Porumboiu: Ad est di Bucarest. Quest’anno si è fatto molto di meglio con il doppio risultato di vedere contemporaneamente coronati: 4 months, 3 weeks and 2 days di Cristian Mungiu (Palma d’oro, subito comprata dalla nostra Lucky Red, e anche premio Fipresci) e California Dreamin’ (Premio della sezione Un Certain Regard), quasi un riconoscimento alla memoria del ventisettenne Cristian Nemescu, scomparso l’anno scorso in un incidente stradale, subito dopo aver completato, o quasi, questo che rimane dunque il suo canto del cigno.
Difficile, comunque, nel complesso, per la mancanza di opere veramente emozionanti, il compito della Giuria guidata da Stephen Frears (e per di più molto difforme al suo interno, tra i cui componenti annoverava i registi Marco Bellocchio e Abderrahmane Sissako) che ha amministrato in maniera variegata e con delle punte di anticonformismo cinefilo, il Palmarès a sua disposizione: il programma “pigliatutto” del direttore Thierry Fremaux rendeva lecita ogni soluzione. A parte il riconoscimento al lavoro di Cristian Mungiu che già da giorni veniva dato per favorito, si è passati così dal Gran Premio della Giuria a Mogari no mori (La foresta di Mogari) - criptica ma affascinante esercitazione di stile della brava regista giapponese Naomi Kawase, sempre impegnata in una ricerca improntata al rigore e alla poesia – al Premio della Regia all’opera seconda del pittore-regista americano Julian Schnabel, per la produzione francese Le scaphandre et le papillon (Lo scafandro e la farfalla, lo si vedrà anche in Italia grazie alla Bim). Tre, poi, sono stati riconosciuti come i migliori film sotto varia dicitura: ex aequo il Premio della giuria spartito tra il cartoon iraniano-francese Persepolis di Marjane Satrapi/ Vincent Paronnaud, e Stellet licht (Luce silenziosa), remake non dichiarato del dreyeriano Ordet, diretto dall’esteta messicano Carlos Raygadas; e Paranoid Park di Gus Van Sant (Palma d’oro solo quattro anni fa con Elephant) per il quale è stato inventato un apposito “Premio del Sessantesimo anniversario”. A sorpresa, decisamente, si sono rivelate le Palme per l’Interpretazione: la maschile è andata a Konstantin Lavronenko, protagonista di Izgnanie del russo Andrei Zviaguintsev mentre quella femminile a Jeon Do-yeon, mattatrice del coreano Secret Sunshine, la quarta (e meno felice) prova di Lee Chang-Dong. Se possono nascere dei dubbi (e pesanti) su queste scelte, del tutto incomprensibile risulta essere la decisione di premiare come miglior sceneggiatura il turco-tedesco Fatih Akin che in Auf der anderen Seite/ The Edge of Heaven non si è certo prodotto al meglio del suo cinema. Per completare infine l’elenco dei premi maggiori, la “Caméra d’Or 07” per la migliore opera prima scelta tra tutte le sezioni del Festival è stata assegnata da un giuria presieduta da Pavel Lounguine, a Meduzot di Etgar Keret e Shira Geffe, confermando come quella israeliana sia un’altra cinematografia emergente da tenere da tenere sott’occhio. Completamente dimenticati, invece, Joel & Ethan Coen, Kim Ki-duk, Ulrich Seidel, Quentin Tarantino, Bela Tarr, Alexander Sokurov o Emir Kusturica che per una ragione o per l’altra avrebbe potuto ambire ad entrare nel Palmarés...
Pur segnando una notevole risalita rispetto all’anno scorso, il Concorso nell’edizione di giubileo del sessantenario di Cannes, ha, per noi, messo in luce che c’è una grande confusione sotto al cielo ma non sempre produttiva mentre alcune cinematografie come quelle orientali danno segni di sgonfiarsi come la celebre “bolla”. Il programma della Competizione sulla carta sembrava fare faville ma a ben guardare i singoli film sono restati spesso e volentieri al disotto di quanto lecito ci si sarebbe atteso. Pochi, pochissimi sono stati i casi in cui la critica (tutta) e il pubblico si sono trovati in completa sintonia con le aspettative riposte in nomi o scoperte del cartellone concorsuale. Viceversa le sezioni collaterali hanno funzionato con maggiore freschezza e novità di proposte: per esempio Un Certain Regard ci è sembrato molto migliore di annate precedenti e lo stesso si può ripetere per la Semaine de la Critique che ha esibito una serie di titoli interessanti (come ha confermato, indirettamente, la vittoria della “Caméra d’Or”). Anche la Quinzaine des Realisateurs non ha mancato di far bene il suo lavoro, pur handicappata da un eccessivo surplus di film francesi. Insomma - a tirare le somme - un risultato complessivo da non sottovalutare con cui Venezia (e Roma) dovranno presto competere per lo meno alla pari. E non sarà molto facile.


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