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Gomorra

Pubblicato il 17 maggio 2008 da Alessandro Izzi
VOTO:


Gomorra

Gomorra è un film che si divide tra totali e primissimi piani. I campi intermedi come pure l’infinitamente lontano del campo lunghissimo o l’infinitamente vicino del dettaglio sono una relativa rarità e, quando ci sono, non è detto che siano davvero significativi, che apportino un’idea al discorso generale.
Garrone concepisce il suo film come una storia di piani giustapposti: persone e ambienti l’un contro l’altro a(r)mati. Da una parte ci sono i personaggi, colti con spirito neorealista nel rispetto della loro naturalità, del loro linguaggio, del loro modo di essere, dall’altra ci sono le case, le strade, i luoghi, “afferrati” dalla macchina da presa col piglio spettacolare d’un cineasta americano che, però, ha studiato bene Cronenberg e sa come un ambiente possa diventare parte costitutiva e non accessoria di una storia.
Gomorra racconta l’uomo immerso nell’ambiente che si è costruito e racconta anche come l’ambiente costruisce, a sua volta, l’uomo che lo abita: cinema antropomorfico all’ennesima potenza. I casermoni napoletani di Scampia, muti testimoni delle stragi, delle sparatorie, del sangue e dello spaccio di droga, ritrovano quell’indifferenza partecipe arcaica ed assoluta della tragedia greca. Sono lo scenario e il coro delle lotte, uomo contro uomo, per il controllo di un meccanismo, di un potere invisibile ed incomprensibile. Mattone dopo mattone, sono stati costruiti con la malta impastata col sangue. Sorgono sulla terra martoriata dai rifiuti tossici che nessuno ha voluto smaltire. I bambini giocano in piscine di plastica dentro giardini di cemento, sotto un sole impietoso che tutto illumina. Naturale che crescano troppo in fretta e che non riescano giammai a vedere oltre. Il loro destino è già segnato sull’atto di nascita. La loro residenza è già una condanna la cui unica incognita è appena il termine, l’età da aggiungere sul rigo bianco di un atto di morte già scritto.
Garrone gioca aperte tutte le sue carte. Di fronte all’infilmabilità della pagina scritta di Saviano che stempera la trama romanzesca nell’apparenza cronachsitica del saggista, il regista lavora di maieutica. Sa bene, l’autore romano, che la vera difficoltà di Gomorra sta tutta nel suo essere, più che un romanzo, un florilegio di romanzi in potenza. Ogni pagina del pur voluminoso racconto è la sintesi di tanti racconti possibili. Ogni comparsa, ogni figura che fa capolino tra le righe, è il protagonista di un romanzo non scritto eppure alluso. Gli episodi scelti dal romanziere ed eletti a materia di racconto, sono tali quasi per caso. Uguali eppure diversi a quelli non detti. Perché la storia sembra essere la stessa anche se cambiano i nomi e le date, i moventi e le situazioni. Il regista romano, di fronte all’imponderabilità di questo ordito fitto come il gioco di fili di un tappeto orientale, punta sulla semplificazione delle trame (solo cinque episodi portanti, appena qualche capitolo del romanzo di partenza), ma anche sulla loro esasperazione polifonica. Gli episodi si intrecciano tra loro nella magnificazione di un montaggio parallelo esasperato, i personaggi si affannano nel perseguire i loro destini di fronte ad una macchina da presa che è muto testimone di un esito scontato.
Gomorra è, così, l’Intolerance italiano sulla camorra. Un Intelorance, però, ribaltato nel senso, intinto in un pessimismo nero dove a nessun personaggio è concesso un sia pur minimo barlume di speranza: dal bambino che impara la logica del tradimento ai ragazzini trucidati perché volevano giocare a Scarface con le pistole rubate alla banda della zona. Neanche all’avvocatino che lascia il lavoro di riciclaggio delle immondizie e che pure della camorra aveva conosciuto appena gli aspetti meno violenti e sanguinari, è concesso di farsi portatore di un messaggio positivo.
Garrone compone un affresco fatto di scenari da post apocalisse. Dalle discariche abbandonate, ai brandelli di muro dei ruderi, dagli appartamenti delle case popolari alle camere d’albergo dei ricchi trafficanti, c’è messa in mostra tutta la gerarchia di un sistema di commerci e di delitti. Ogni episodio è, in sé, un piccolo quadro, ogni scena è la sospensione di un racconto che non prende mai forma. Non c’è trama unitaria nel film, solo l’affollarsi di schegge narrative che frastornano lo spettatore senza blandirlo mai, senza dargli la possibilità di un’immedesimazione sia pure superficiale.
Gomorra è un pugno diretto alle aspettative del pubblico. Lo dimostrerebbe oltre ogni dubbio l’uso anempatico della musica diegetica. Poiché, infatti, unico ed indiscutibile protagonista del racconto è proprio l’ambiente, non sorprende che ogni intervento musicale presente in pellicola sia ad esso strettamente connesso. Anche la musica del film nasce dalle mura di Scampia, è figlia delle autoradio e degli impianti dei locali. È musica ancorata al suolo, impossibilitata a slanciarsi nello spazio, verso le alte ragioni del cielo e dello spirito. Prigioniera delle mura di una prigione a cielo aperto, di un inferno dantesco privato della norma divina del contrappasso e, quindi, di un senso esperibile, la musica sfuma nel silenzio. Vive solo nello spazio piano dell’inquadratura. Tagliare la scena equivale a tagliare la musica. Bruscamente.
Il paradosso di Gomorra è che non c’è camorra nel film. Nel film ci sono solo persone e case. La camorra vive tutta nell’utopico spazio di un fuori campo assoluto. Sappiamo che esiste, ma la sua realtà tentacolare sfugge ad ogni tentativo di messa in visione. Garrone la filma negli occhi dei suoi personaggi, nei loro volti abbruttiti dall’orrore, la ritrova tra le scale di cemento e tra le strade di campagna. Sta tutta fuori. Nel paesaggio che vediamo e nell’aria che respiriamo. Il bello del film è che ce ne fa sentire l’odore e, per due ore e mezzo, ce ne fa provare ribrezzo. Il brutto è che non ci lascia con l’idea di poter fare qualcosa di concreto per cambiare le cose.
Garrone firma, così, un’opera importante e difficile. Certo non perfetta, ma che ti si attacca addosso per un bel po’, come del sale su una ferita ancora aperta.

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CAST & CREDITS

(Gomorra); Regia: Matteo Garrone; sceneggiatura: Ugo Chiti, Massimo Gaudioso, Matteo Garrone, Gianni Di gregorio, Roberto Saviano, Maurizio Braucci; fotografia: Marco Onorato; montaggio: Marco Spoletini; interpreti: Toni Servillo (Franco), Gianfelice Imparato (Don Ciro), Salvatore Cantalupo (Pasquale), Maria Nazionale (Maria), Gigio Morra (Iavarone), Salvatore Abruzzese (Totò), Marco Macor (Marco), Ciro Petrone (Ciro), Carmine Paternoster (Roberto); produzione: Fandango, Rai Cinema; distribuzione: 01 distribution; origine: Italia, 2008; durata: 145’


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