Grazie a Dio
Ciò che lo spettatore internazionale, non esattamente attentissimo alla cronaca giudiziaria su casi di pedofilia all’interno della chiesa cattolica, apprende solamente in esergo, poco prima che inizino i titoli di coda, lo spettatore e cittadino francese, e ancor più, lo spettatore e cittadino della regione di Lione, lo sa ancor prima che il film di François Ozon, intitolato Grâce à Dieu abbia inizio: il film tratta una vicenda tristemente celebre e famigerata, la vicenda di padre (bisogna dire che si fa molta fatica a digitare i cinque tasti che compongono questa parola) Bernard Preynat, un prete della diocesi di Lione, salito ai disonori della cronaca per essersi macchiato reiteratamente di reati di pedofilia. Il processo, a lui e ai vertici dell’arcidiocesi, si chiuderà nel marzo del 2019. Si dirà: il processo non si è ancora concluso, dunque "in dubbio pro reo", anzi "pro reis". E invece no perché Bernard Preynat è reo confesso e allora il processo è divenuto, di fatto, un atto di accusa, con nomi e cognomi, nei confronti delle gerarchie della arcidiocesi lionese, in particolare contro Philippe Barbarin, l’arcivescovo di quella città che, pur al corrente della vicenda da molto tempo (come peraltro i suoi predecessori), coprì i misfatti di Preynat, anche a dispetto dello stesso colpevole, il quale, cosciente delle proprie “debolezze” reiterate volte chiese di essere trasferito ad altro incarico che non lo ponesse più a contatto con bambini e adolescenti.
Leggendo in giro per la rete si scopre da fonti semi-ufficiali della chiesa, senza giungere – Dio non voglia - a pretendere qualsivoglia forma di censura, si chiedeva che, quanto meno, si aspettasse la conclusione del processo, prima di far uscire il film, non sia mai che la Giuria venga ad esserne influenzata. Grazie a Dio, ciò non è accaduto. E dopo una prima assoluta ad Angers nel dicembre del 2018, il film di Ozon è stato presentato, di fronte a una platea internazionale, in concorso al festival di Berlino con conseguente e meritata diffusione internazionale.
Mai titolo fu più azzeccato, perché è l’epitome di tutta la vicenda raccontata, poiché fa riferimento a un – chiamiamolo – lapsus, questo sì probabilmente non corrispondente a un dato di verità, ma aggiunto dal regista, allorché nel pieno della conferenza stampa, tenuta a Lourdes, Barbarin si lascia scappare questa espressione in relazione al fatto che larghissima parte dei crimini commessi da Preynat sono, appunto, «grâce à Dieu», caduti in prescrizione, suscitando così l’indignazione di un giornalista presente che lo mette di fronte alla gravità di questa sua affermazione, inducendolo a ritrattare. Il vero tema del film, quindi, non sono tanto gli infami crimini di Preynat ma la vischiosità, l’opacità della chiesa che, malgrado i continui appelli del Papa a fare chiarezza (a Francesco in persona si deve infine l’allungamento dei termini di prescrizione, adesso sono diventati trent’anni) su vicende così infamanti, continuano imperterrite a coprire i criminali, a sopire i potenziali scandali.
Sul piano drammaturgico il film di Ozon è tripartito, incentrandosi su tre vittime di Preynat, due delle quali ultraquarantenni (Alexandre e François), uno leggermente più giovane (Emmanuel) che, insieme, fondano una associazione denominata La Parole Libérée, volta a raccogliere le testimonianze delle decine e decine di (ex)-ragazzi, molestati sessualmente da Preynat e che si costituirà parte civile nel processo contro Preynat e le gerarchie ecclesiastiche lionesi. Un po’ più di un terzo del film è dedicato al vero iniziatore, ossia ad Alexandre Guerin, cattolico ultraosservante, padre alto-borghese ed elegantissimo di cinque figli, con moglie amorevolissima e altrettanto devota, che è il primo, quasi di punto in bianco, a riaprire il dossier, e che malgrado la tenacia e l’irriducibilità degna di Michael Kohlhaas, è il primo a doversi scontrare con l’opacità di Barbarin, fin quasi a rinunciare, forse anche a causa un mai del tutto abbandonato rispetto nei confronti della Chiesa come istituzione.
Poi però la vicenda, anzi – è il caso di dirlo – il testimone passa nelle mani del più sanguigno e risoluto di tutti, ossia François Devaux, ateo dichiarato, che è colui che assume l’iniziativa di mettere in rete le vittime, di fondare un’associazione, un sito internet e di andare alla polizia. La terza vicenda raccontata è quella che riguarda Emmanuel Thomassin, dei tre il personaggio più visibilmente e in profondità traumatizzato dall’accaduto. Al più tardi a partire dalla fondazione dell’associazione le tre vicende si legano, i tre personaggi, pur fra loro diversissimi, si conoscono e si sostengono. Accanto a loro le famiglie, anch’esse diversissime: la madre di Emmanuel, Irène (interpretata da Josiane Balasko), solidale oltre ogni dire al punto da prestarsi come referente telefonica al cospetto di una serie sempre maggiore di denunce (mentre il padre di Emmanuel ignora la sofferenza del figlio e l’importanza politica dell’iniziativa), i genitori di Alexandre, altezzosi e scettici, quelli di François addirittura commoventi. I tre attori, nell’ordine, Melvil Poupaud, Denis Ménochet e Swann Arlaud, sono uno più bravo dell’altro.
Il film, inutile sottolinearlo, molto importante, ha un ottimo ritmo, è forse un po’ troppo parlato, come peraltro accade spesso a un film basato su una serie di dati reali con una netta scansione cronologica e con implicazioni giuridiche di questo rilievo, forse è anche un po’ troppo lungo (137 minuti), ma – chissà – magari, in un festival da sempre attento alle questioni politicamente scottanti, permetterà a un regista forse un po’ discontinuo e comunque non fortunatissimo con i premi (solo per restare in Francia, candidato a cinque César, mai vinto uno) come François Ozon, per la quinta volta in concorso a Berlino (Gocce d’acqua su pietre roventi, nel 2000, 8 donne e un mistero, nel 2002, Angel – la vita, il romanzo, nel 2007 e Ricky – Una storia d’amore e libertà, nel 2009), di conquistare il pubblico.
(Grâce à dieu); Regia: François Ozon; sceneggiatura: François Ozon; fotografia: Manu Dacosse; montaggio: Laure Gardette; interpreti: Melvil Poupaud (Alexandre), Denis Ménochet (François), Swann Arlaud (Emmanuel), Aurelia Pétit (Marie), François Marthuret (Cardinal Barbarin), Bernard Verley (Bernard Preynat), Martine Erhel (Régine Marie); produzione: Mandarin Production, Paris; origine: Francia, 2019; durata: 137’