Güeros
L’adolescenza e poco più – la giovinezza – è un luogo oscuro: ma che dalle tenebre uscir si può. Passando tra luce e buio, momenti di bianco e di nero sullo schermo trascorrendo, come nella vita di ogni giorno, giorno dopo giorno. Nell’attesa.
Nello slang messicano ’Güero’ significa ’Biondo, pallido’. Mentre suo termine opposto è ’Moreno’. Due lati quindi di un’antitesi, di una possibile (in)conciliabilità. Così come viene figurativamente restituito, trattandosi Güeros di una pellicola fotografata in bianco e nero. Un bianco e nero, però, ove i contrasti appaiono alquanto mitigati. Due aspetti quindi, ’Güero’ e ’Moreno’, che qui assumono i contorni più che altro di rapporti iconografici, così come di tipo prettamente relazionale è l’amicizia che lega il moro Sombra al suo coinquilino Santos, entrambi laureandi presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico, nella Mexico City del 1999. Noia quella che attanaglia i due studenti, fuorisede presso un gigantesco e isolato caseggiato popolare, a quanto sembra navigando i due non proprio nell’oro, entrambi in ’sciopero contro lo sciopero’, avendo scelto di non partecipare all’occupazione messa in atto dai loro colleghi universitari in protesta contro l’instaurazione di una quota di iscrizione annuale, fatto che scaverebbe un solco tra gli studenti provenienti da famiglie povere rispetto a quelli benestanti.
In più, tuttavia, tale (non) scelta di Sombra e Santos appare come un’immobilità dettata dal timore di procedere avanti, verso l’età adulta. Una condizione che diventa esistenziale e che coinvolgerà, almeno inizialmente, pure Tomàs, l’adolescente fratello minore di Sombra, spedito lì dalla madre a causa di alcune turbolenze da discolo mostrate dal ragazzo. E sarà proprio Tomàs a smuovere i due (quasi) adulti: quando casualmente leggerà la notizia delle precarie condizioni di salute di Epigmenio Cruz, oramai anziano e soprattutto misconosciuto cantante rock, del quale si dice che avrebbe potuto far compiere un salto di qualità alla musica messicana, oltre al ’si dice’ che una sua canzone commosse Bob Dylan fino alle lacrime. Così i tre partiranno alla ricerca del loro idolo, non prima di avere coinvolto Ana, attivista universitaria da prima linea, amica di Sombra, della quale costui è invaghito.
Güeros rappresenta l’esordio cinematografico per il regista Alonso Ruizpalacios: vincitore alla Berlinale 2014 del Premio come Miglior Opera Prima, la stella messicana Gael García Bernal (coetaneo di Ruizpalacios, all’incirca trentacinquenne durante la lavorazione del film) figura nelle vesti di produttore associato.
Ed è forse da ascriversi all’ancora giovane età dell’autore, oltre al fatto che la pellicola è ambientata nel 1999 - un passato tutt’altro che remoto - l’aver portato in scena il gioco di opposizioni: sedimentate e messe in discussione, ma tuttavia acquietate e per nulla fatte deflagrare, rimanendo al massimo distanti l’una dall’altra, avvicinandosi per poi magari allontanarsi ognuna lungo la propria strada, per quella che rimane una commedia che in sé assomma un romanzo di formazione che procede verso l’età adulta, con intenti pure di ritratto generazionale internazionale, tra sogni del passato e speranze del futuro, tra amore e politica. Mentre Ruizpalacios si è ispirato – come da lui stesso dischiarato – per la prima parte del film al cinema di Yasujirō Ozu e di Jim Jarmusch, con «schemi ripetitivi e paesaggi minimalisti, con campi lunghi accompagnati da dialoghi ricchi di ironico umorismo (I vitelloni di Fellini è una delle influenze principali di questa prima parte)». Laddove il brevissimo incipit era fatto in tutt’altra maniera: girato con inquadrature brevi e montate vorticosamente, protagonisti Tomàs e lasua irrequieta esuberanza. Mentre la seconda parte è un road movie, ove «La forma si libera» e dove «È facile cogliere un omaggio al cinema della Nouvelle Vague e più in particolare a film come Bande à part di Godard».
Si tratta di pellicole quasi esclusivamente in bianco e nero, quelle citate da Ruizpalacios nelle parole sue che abbiamo riportato. Pellicole omaggiate, come da lui medesimo dichiarato. Così come da taluni cineasti della New Hollywod degli Anni Settanta. Seppure, a nostro parere, tale approccio risulta un peso per Güeros. In particolare se si pensa all’«Essere giovani e non essere rivoluzionari è una contraddizione», scritta vergata dagli occupanti su di una parete dell’Università e scelta come tagline per il lancio del film (e non solamente qui in Italia). Giacché essere giovani – e rivoluzionari - non significa di certo guardare unicamente al passato, ma semmai utilizzarlo come fonte di ispirazione: tanto che quella tagline appare ai nostri occhi un po’ come essa stessa una contraddizione, chi lo sa quanto voluta dai realizzatori della pellicola. Così come la maglietta indossata da Tomàs, la quale recita, in un internazionalissimo inglese, ’Don’t Look Back’.
Non che in ogni caso Güeros non offra bei momenti: al di sopra di un impianto generale comunque degno, la sceneggiatura nella sua semplicità concettuale esprime personaggi interessanti, tra i quali spicca quello di Ana, giovane brillante ironica idealista donna in un mondo di maschi che non sempre paiono all’altezza. Un altro dei contrasti mostrati da Ruizpalacios quindi: come le contraddizioni insite nel movimento della Sinistra cosiddetta radicale, persa in contrasti tra realtà e ideali; o come, anche, il più delle volte guardare problemi troppo lontani e astratti dalla realtà che si sta vivendo in un dato momento, in un dato luogo, perdendo di vista ciò che si trova più vicino. Una delle varie antinomie di cui Güeros ci parla: ultima delle quali il rapporto tra visivo e sonoro. Poiché particolarmente apprezzabile è il lavoro effettuato dal regista proprio sul sonoro, con suoni distorti che si fanno di tanto in tanto sentire lungo la prima parte; oppure, ancor più interessante dal punto di vista dell’espressività cinematografica, la canzone di Epigmenio Cruz, più volte ascoltata dai protagonisti indossando delle cuffiette, ma registicamente restituita in modo che gli spettatori non possano sentirla, dovendo perciò come immaginare le emozioni provate dai personaggi, spiandole attraverso gli occhi di questi ultimi, in un gioco tra l’apparato visivo e quello sonoro che sa tanto di sognare a occhi aperti.
Mentre il film si conclude con un fermo immagine: inquadratura raggelata che fa da pendant con il vorticoso incipit, per un film che procede tra stasi e movimento.
(id.); Regia: Alonso Ruizpalacios; sceneggiatura: Alonso Ruizpalacios e Gibràn Portela; fotografia: Damiàn García; montaggio: Yibràn Asuad e Ana García; musica: Tomàs Barreiro; interpreti: Tenoch Huerta (Sombra), Sebastiàn Aguirre (Tomàs), Ilse Salas (Ana), Leonardo Ortizgris (Santos), Alfonso Charpener (Epigmenio Cruz), Laura Almela (Isabel), Raul Briones Carmona (Furia); produzione: Catatonia Cine, Meximcine, Conaculta, Difusion Cultural, Cuec; distribuzione: Bunker Hill; origine: Messico, 2014; durata: 111’; web info: sito ufficiale italiano.