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Guido che sfidò le Brigate Rosse

Pubblicato il 24 giugno 2007 da Gaetano Maiorino


Guido che sfidò le Brigate Rosse

Sempre più di frequente, sui canali televisivi pubblici e privati, vengono proposte fiction tratte da storie vere. La consuetudine è quella di prendere un personaggio che ha avuto un ruolo particolarmente rilevante in un periodo storico, in Italia, e ricostruire intorno a lui ambienti e avvenimenti del tempo, nel tentativo di creare dei prodotti di “intrattenimento pedagogico”. Il cinema degli ultimi anni ha un po’ abbandonato questo percorso, lasciando strada su questi temi allo strapotere della programmazione televisiva, che negli ultimi due decenni ha “istruito” gli italiani sulla guerra e la mafia, sugli eroi e le vittime della nostra storia. Purtroppo, però, raramente ci sono stati casi come quello di La Meglio Gioventù, efficace affresco di trent’anni di storia Italia (passato al cinema, ma anch’esso, all’inizio, pensato per la TV).
Tuttavia, gli autori possono ancora rifugiarsi nella settima arte per narrare senza fare i conti con limitazioni produttive, e L’uomo di vetro di Stefano Incerti, e Guido che sfidò le Brigate Rosse di Giuseppe Ferrara, sembrano testimoniare che qualche passo in questa direzione si sta muovendo. In particolare, Ferrara porta sul grande schermo una storia peculiarmente italiana, legata agli anni di piombo, anni in cui la nostra penisola vantava la drammatica presenza di terrorismo di destra e di sinistra in continua lotta armata con lo Stato. La storia di Guido Rossa è una di quelle di cui il cinema dovrebbe nutrirsi maggiormente per tornare a raccontare il Paese, come nel secondo dopoguerra fece il Neorealismo e, durante il boom economico, la commedia all’italiana.
L’operaio della Italsider di Genova, sindacalista berlingueriano, testimonia nel 1979 contro un suo collega colpevole di aver distribuito in fabbrica materiale sovversivo delle Brigate Rosse. Lasciato solo dai sui compagni, Rossa sarà facile bersaglio della ritorsione dei brigatisti, che non esiteranno a vendicarsi brutalmente.

Giuseppe Ferrara è da sempre un regista che non mira semplicemente al botteghino. Da Il sasso in bocca a Segreti di Stato, il regista toscano è tra gli autori che usano maggiormente il grande schermo per parlare del lato oscuro del proprio Paese. Ancora una volta, con la vicenda di Guido Rossa, Ferrara riporta alla luce uno di quegli avvenimenti messi da parte dai manuali di storia, giustamente molto attenti alle grandi stragi, ma spesso colpevolmente privi di riferimenti ai singoli personaggi.
Si alternano in maniera efficace nella narrazione, le scene girate e le immagini tratte dai telegiornali dell’epoca, immagini che i quarantenni di oggi e i loro padri non potranno mai dimenticare.
Massimo Ghini, nonostante un accento genovese un po’ forzato, è comunque molto convincente nel ruolo di Rossa, così come gran parte degli attori che recitano con lui in fabbrica. Bravo Gianmarco Tognazzi nel ruolo del brigatista Roberto, ma ancora più di loro due è perfetto Mattia Sbragia nel ruolo del Vecchio. Deludono un po’ le donne: Anna Galiena ed Elvira Giannini sembrano poco adatte e mai a proprio agio nei rispettivi ruoli.
Mostrando senza pudore il furore cieco dei brigatisti, Ferrara ci regala un’opera molto toccante, a tratti un po’ didascalica, ma con il merito di rinfrescare la memoria su un anno, il 1979, che per molti motivi resterà indelebile nei ricordi più tristi dell’Italia.


CAST & CREDITS

Regia: Giuseppe Ferrara; sceneggiatura: Giuseppe Ferrara, Heidrun Schleef, Daniele Aliprandi; fotografia: Riccardo Gambacciani; montaggio: Adriano Tagliavia; musiche: Pino Donnaggio; scenografie: Laura Benzi; costumi: Barbara Molinari; interpreti: Massimo Ghini (Guido Rossa), Gianmarco Tognazzi (Roberto); produzione: Sistina Cinematografica, L’Occhio di Genova, Nuova Cooperativa Doppiaggio, in collaborazione con la scuola di cinema SDAC di Genova, Ilva; distribuzione: EMME cinematografica; origine: Italia 2006; durata: 102’


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