Ave, Cesare!

Dopo essersi cimentati soltanto come sceneggiatori in Bridge of Spies di Steven Spielberg, i fratelli Coen tornano alla regia tre anni dopo A proposito di Davis, secondo chi scrive uno dei loro film migliori. Ritornano alla regia, ma restano agli anni ’50, stavolta inizio degli anni ’50, anche qui, dunque, piena guerra fredda, piena era Mac Carthy con cui notoriamente Hollywood si trovò pesantemente a fare i conti. E il film si svolge quasi tutto a Hollywood, negli studi, nei set di una major di finzione, la Capitol. Il protagonista di un intreccio fortemente, spesso esageratamente policentrico è Eddie Mannix (Josh Brolin), il direttore di produzione, costretto a barcamenarsi fra i mille e più guai scaturiti dalle pellicole in corso di lavorazione, dalle star affette dai problemi più diversi: alcolismo, eccessi sessuali del passato e del presente, o semplicemente dotate di un quoziente di intelligenza e/o di talento nel complesso piuttosto bassino – e, infine, costretto a districarsi in mezzo a giornaliste continuamente in cerca di gossip (due gemelle rivali, interpretate entrambe da una rutilante Tilda Swinton). A ciò si aggiungano personali tormentose afflizioni, sensi di colpa, tenuti solo in parte a bada grazie a una religiosità morbosa che lo induce quotidianamente a confessare le invero perdonabilissime marachelle. Il film rispetta abbastanza rigorosamente due delle tre unità aristoteliche – il tempo e lo spazio – mentre (ed è questo il suo principale limite) non rispetta affatto l’unità di azione, perché i fratelli registi, nel descrivere la giornata tipo del direttore di produzione, si lasciano deliberatamente andare a tutta una serie di piccoli hommages, pezzi di bravura che descrivono sequenze esemplificative del sistema dei generi consolidati nella Hollywood di quegli anni (sul piano filologico verrebbe in realtà da dire: leggermente antecedenti): western, musical, commedie sofisticate di stampo teatrale, film acquatici à la Esther Williams e peplum, numeri che vengono re-enacted in modo tanto impeccabile quanto alla fine piuttosto stucchevole e compiaciuto. È la vicenda del peplum che porta, nella finzione, il medesimo titolo del film che stiamo vedendo (Hail Caesar) – la conversione di un crudele generale romano al cristianesimo, dopo l’incontro/folgorazione con Gesù Cristo nel deserto della Galilea –ad agglutinare la parte più coesa della sceneggiatura allorché Baird Whitlock (George Clooney) che interpreta il generale romano viene rapito da una cellula comunista, composta in larga parte di (ex)-sceneggiatori la cui principale rivendicazione consiste nella pretesa di condividere i profitti delle majors, viste come quintessenza di un sistema di produzione e sfruttamento di tipo capitalista. La presentazione della cellula (comprensiva di immediata conversione del rapito sempre in tenuta da antico romano), riunitasi intorno al loro ideologo princeps un attempato filosofo di Harvard che risponde al nome di Marcuse, è certamente fra gli episodi più esilaranti di un film che resta, sul piano della scrittura, abbastanza sfilacciato. Qua e là certamente si sorride e si ride in Hail Caesar; funzionano alcune singole trovate come le disperate e disperanti prove di dizione del divo western improvvisamente convertito ad attore di una sophisticated comedy (uno dei trailer del film che da mese circolano in rete) o il dibattito molto casuidico (molto Woody Allen) fra Eddie e quattro rappresentanti di altrettante confessioni (cattolica, protestante, ortodossa, ebraica) circa la legittimità di raccontare/mostrare sullo schermo la figura di Cristo, ma resta la convinzione che, al netto di attori bravissimi: Brolin, Clooney comico e scemo come sanno presentarlo solo i Coen, una Scarlett Johansson particolarmente burina, un Ralph Fiennes particolarmente queer, Frances Mc Dormand montatrice che quasi si strangola con la pellicola, il film non resterà come uno dei migliori dei due fratelli del Minnesota. Ci troviamo nei pressi della linea un po’ sgangherata e slapstick di film Burn After Reading o di Brother, Where Art Thou? dove però l’ambizione di dar vita a un continuo esercizio di stile autocompiaciuto finisce per nuocere anche a una certa qual anarchica vena grottesca. Un’ultima notazione: all’interno del film nel film Cristo non si vede mai, l’imperativo ebraico, di cui, nella discussione già menzionata, il rabbino si fa portavoce, è stato pienamente rispettato da Joel e Ethan Coen.
(Hail Caesar); Regia e sceneggiatura: Ethan Coen, Joel Coen; fotografia: Roger Deakins; montaggio: Ethan Coen, Joel Coen; musica: Carter Burwell; interpreti: Josh Brolin, Ralph Fiennes, George Clooney, Channing Tatum, Alden Ehrenreich, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Jonah Hill, Dolph Lundgren, David Krumholtz, Clancy Brown, Frances McDormand, Fisher Stevens, Christopher Lambert, Patrick Fischler; produzione: Mike Zoss Productions, Working Title Films; distribuzione: Universal Pictures International Italy; origine: USA, 2015
