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Halloween 2

Pubblicato il 20 ottobre 2009 da Alessandro Izzi
VOTO:


Halloween 2

Il vuoto e la rabbia.
Sono questi i due punti cardinali che guidano Rob Zombie nel suo tentativo di allontanarsi definitivamente dal modello del capolavoro carpenteriano da cui prende corpo questo sequel del remake (e il gioco polifonico dei rifacimenti americani comincia ormai a dare le vertigini a tutti).
Il vuoto è quello della Natura incontaminata che circonda, come un nulla annichilente, le piccole cittadine americane che ospitano il racconto. Un niente fatto di notte e di atmosfere sospese tra incubo e veglia, un nero che mangia i contorni delle cose, che si insinua negli interstizi del mondo civile fatto di piccole case con piccole luci e che ci riporta alle paure ancestrali del sogno americano. Un luogo/non luogo, quello di cui stiamo parlando, popolato di fantasmi evanescenti che si portano addosso il ricordo delle stragi degli indiani e che ricordano al viandante che quella terra che possiedi e quella casa che hai costruito non sono tue di diritto, ma che te ne sei appropriato con l’inganno e col sopruso.
Molti commentatori americani (lì il film è uscito ad agosto) hanno parlato, per queste immagini notturne che creano l’atmosfera di una pellicola ambigua e tormentata, di influenze dall’espressionismo tedesco (in questo probabilmente fuorviati dall’immagini iniziale del cavallo bianco). In realtà siamo in pieno gotico americano, dentro quelle tele che disegnano sciabolate di luce nel buio della foresta e che vedono nel piccolo pub al limite del quadro il barlume di una civiltà sempre sul punto di essere inghiottita dal vuoto violento di un mondo ulteriore. E gli occupanti di quel pub sono poco più che abitatori di luce al limitare della notte.
Nel suo cammino dal bosco alla città Michael Myers, incontra proprio questi personaggi ruvidi, di un’America crudele e malevola, forse più mostruosa del mostro che si porta dentro (o a fianco) l’anima di un bambino disturbato. Dal portantino dell’ambulanza che racconta, tra denti più grandi del normali (questi si espressionistici ed espressionisticamente filmati), la sua voglia di fare sesso con un cadavere ancora fresco, ai contadini subito pronti a pestare con mazze da baseball il primo vagabondo che incontrano, dai commercianti dei bordelli alle prostitute condannate a morire schiacciate contro uno specchio. Segni tangibili di un’America che si racconta solo nell’horror, un’America maleducata e volgare, resa tale dai week end di paura e dai lavori notturni.
La borghesia cittadina (quella che era la grande protagonista della pellicola di Carpenter) non arriva praticamente mai nel corpo del film. Non ci sono le case del quartiere signorile e le strade geometriche con gli incroci ad angolo retto che avevano solleticato la curiosità del regista del primo insuperato Halloween. Ci sono piuttosto case rovinate e con le assi marce, tutte poste al limitare del bosco, a dar di spalle ad incubo che sta per sopraggiungere.
Scompaiono persino i ragazzi (in genere protagonisti assoluti degli slasher movie) lasciando che il racconto si divida tra famiglie sgretolate e fondate sulla menzogna e il segmento di Loomis (un Malcolm McDowell assai sopra le righe) che vende il fumo di un successo librario annunciato e sino alla fine del film sembra del tutto estraneo alle vicende dello psicopatico tornato a mietere vittime.
Di coppie pomicianti ce n’è una sola e, per di più, Zombie se la gioca d’ironia con lei mascherata da Dr. Frank-N-Furter e lui (Matt Bush l’unico a non gridare in un film in cui ognuno ha il suo urlo madre) da uomo lupo che lascia il campo del sesso per andare a marcare il territorio prima di essere sgozzato in campo lungo.
Le regole dello slasher, toccate con signorile padronanza, son quindi contraddette sin dal nascere in un film che fa del legame psichico tra i due fratelli Meyers la sua vera ragion d’essere.
Ma il genere, contraddetto da una parte risulta esasperato dall’altro. Ed è qui che entra in campo la rabbia, il secondo punto cardinale del disegno di Zombie.
La grande differenza tra il Mike Myers di Carpenter e questo non sta solo nel fatto che il regista si periti nel raccontarci con dovizia di allusioni, l’infanzia del mostro, ma soprattutto nel suo modo di ammazzare. Carpenter aveva pensato all’incarnazione di un male assoluto che operava con la certezza di un chirurgo. Una coltellata era sufficiente a far la differenza tra la vita e la morte e, dopo aver consumato il suo delitto l’assassino se ne stava lì a contemplare curioso la sua vittima quasi a chiedersi come potesse essergli sfuggita la visione del momento del trapasso, l’esalazione dell’ultimo rantolo. Per Zombie viceversa, il dopo delitto perde importanza ed a contare è la rabbia con cui il coltello affonda nella carne. L’omicidio si fonda sul gesto reiterato e all’assassino non basta più colpire la propria vittima una volta. Occorre infierire sulla carne martoriata, occorre andare oltre le soglie della tollerabilità fisica.
Una rabbia che dipende dalle contraddizioni dell’infanzia, dall’azione disturbante di un mondo in cui le torte di zucca non nascondono, con la loro fragranza festaiola, l’abominio del mercimonio di valori e di persone.
Ed è qui che Zombie prende per mano il suo modello e scopre una comunanza d’intenti nell’identica volontà di raccontare una società colpevole e mostruosa in cui l’esplosione irrazionale del delitto è epifania che fa venire alla luce contraddizioni altrimenti celate nell’ipocrisia.
Peccato che questa consapevolezza emerga solo a tratti lasciando, per il resto, la sola atmosfera a farla da padrona.


CAST & CREDITS

(Halloween 2); Regia e sceneggiatura: Rob Zombie; fotografia: Brandon Trost; montaggio: Glenn Garland Joel T. Pashby; musica: Tyler Bates; interpreti: Sheri Moon Zombie (Deborah Myers), Chase Vanek (Michael da piccolo),Scout Taylor-Compton (Laurie Strode), Brad Dourif (Lee Brackett), Caroline Williams (Dr. Maple), Malcolm McDowell (Samuel Loomis), Tyler Mane (Michael Myers), Margot Kidder (Barbara Collier), Matt Bush (Wolfie); produzione: Dimension Films, Spectacle Entertainment Group, Trancas International Films; ditribuzione: Mediafilm; origine: U.S.A., 2009; durata: 100’; webinfo: Sito ufficiale e Sito italiano


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