Hammamet
A pochi giorni dal ventennale della morte, esce nelle sale Hammamet, il film dedicato a Bettino Craxi (1934-2000), un’opera che rientra a tutti gli effetti nel filone dei film che raccontano gli ultimi giorni o anni dei potenti o ex-potenti, non solo di uomini politici, film tutti, intrisi di decadenza e livore, risentimento e patetismo: Mussolini ultimo atto e La caduta, Sant’Elena piccola isola e The Iron Lady, potenziali parabole del sic transit gloria mundi.
Va detto fin da subito che - al netto del perfetto studio compiuto da Pierfrancesco Favino, coadiuvato da una protesi degna di Madame Tussaud, dell’eloquio e della gestualità di Craxi, anzi del Presidente – il film risulta scarsamente convincente poiché del tutto privo di complessità e fondamentalmente privo di una tesi che, per carità, non è strettamente necessaria, ma insomma un po’ aiuterebbe nel provare a giustificare il senso dell’intera operazione. Pensiamo a che cosa si sarebbe potuto fare. Per esempio si sarebbe potuto calcare la mano sulla differenza fra i politici di allora e i politici di oggi, magari insistendo sulle celeberrime pause nella retorica craxiana come indice di un pensiero complesso e articolato che si esprime kleistianamente proprio nel procedere del discorso, laddove invece i moderni politici italiani sembrano caricati a molla, mai attraversati da un dubbio, da un’esitazione, da una pausa di riflessione, appunto.
Ma nel film non compare mai un riferimento all’oggi, se c’è una prospettiva temporale essa riguarda solamente gli anni immediatamente successivi, diciamo fino alla quasi contemporanea scesa in campo di Berlusconi e di Di Pietro. Si sarebbe potuto per converso accentuare il carattere archetipico di Craxi, primo politico per così dire post-ideologico, quasi del tutto emancipatosi, anche per ragioni generazionali, da una politica che affonda le proprie radici e le proprie ragioni nella guerra e, soprattutto, nella Resistenza, nel bipolarismo culturale, cattolico e/o comunista, dell’Italia della Prima Repubblica. Ma anche qua, niente di tutto ciò. Si sarebbe potuto, à la Sorrentino, calcare la mano sui dati diciamo così grottesco-surreali, tipo Il Divo o tipo Loro (I - II), e invece il film è noiosamente grigio, cupo e tetro, di una ripetitività quasi ossessiva nel delineare la costellazione famigliare: la moglie superficiale e tutto sommato insignificante, la figlia accigliata e preoccupata (Anita in omaggio al culto garibaldino del padre e non Stefania come nella realtà, del tutto priva peraltro di somiglianza fisiognomica), il figlio, invece, molto somigliante all’originale Roberto, detto Bobo, ma debole, debolissimo nel film, schiacciato dal padre e dalla sorella, pateticissima la schitarrata pasquale quando canta Piazza Grande di Lucio Dalla. E anche gli altri personaggi, questi di finzione (pur con qualche allusione), non funzionano neanche un po’: non funziona Giuseppe Cederna che interpreta qualcuno che assomiglia a Vincenzo Balzamo (anche se non viene mai chiamato così e non muore di infarto ma fin dall’inizio si suicida); men che meno funziona Fausto, il figlio di lui che compare all’improvviso a Hammamet con pessime intenzioni, salvo poi sviluppare una qualche sintonia col Presidente (e quest’ultimo con lui), quindi, a quanto pare, impazzire; non funziona neanche il politico democristiano interpretato da Renato Carpentieri che non si capisce affatto per quale motivo lo vada a trovare; non funziona l’amante (Claudia Gerini) che arriva fino in Tunisia per incontrare il suo Adorato, malgrado sia stata ostracizzata dalla moglie e più ancora dalla figlia che alla fine si muove a pietà e li fa incontrare in un hotel di Tunisi. E risultano posticci persino i turisti che, cascami delle monetine dell’hotel Raphael, lo infamano sul molo. Anche la sequenza onirica in cui il Presidente passeggia per i contrafforti del Duomo di Milano, un episodio che vorrebbe ricordare la passeggiata per Roma con cui si conclude Buongiorno notte di Bellocchio cade sul patetico incontro col padre, interpretato da Omero Antonutti, in quello che è stato il suo ultimo ruolo. Semplicemente sgradevole risulta, sempre per restare alle scene conclusive, il cabaret simil-Bagaglino. Insomma malgrado Amelio, malgrado Favino, non è affatto un buon film, né la parte più squisitamente documentaria e nemmeno le sequenze di finzione.
(Hammamet); Regia: Gianni Amelio; sceneggiatura: Gianni Amelio, Alberto Taraglio; fotografia:Luan Amelio Ujkaj; montaggio: Simona Paggi; scenografia: Gianfranco Basili; musiche: Nicola Piovani; interpreti: Pierfrancesco Favino (il Presidente), Livia Rossi (Anita), Alberto Paradossi (Bobo) Luca Filippi (Fausto); Silvia Cohen (la moglie), Renato Carpentieri (il politico), Claudia Gerini (l’amante), Omero Antonutti (il padre), Giuseppe Cederna (il tesoriere); produzione: Pepito Produzione, Rai Cinema; origine: Italia 2020; durata: 126’