Harmony Lessons - Concorso

Un paio di inquadrature di paesaggi naturali, in campo lungo, a primavera e in inverno, perfette. Poi un ragazzo che insegue una pecora che invano cerca di scappare. La uccide. La scuoia. Le toglie le interiora. La fa a pezzi. Dopo pochi secondi a un albero stecchito è appesa solo una carcassa. Due minuti appena e i due poli del programma estetico-antropologico di Emir Bagazin (regista kazako non ancora trentenne al suo primo lungometraggio) appaiono piuttosto chiari: formalismo e sadismo. Ad essi regista e direttore della fotografia (Aziz Zhambakiyev ) terranno fede per tutto il film, con una coerenza davvero rara. Due poli che sono ben esemplati nel titolo leggermente inquietante del film che in italiano suona come Lezioni di armonia. Siamo in una sperduta provincia del Kazakistan. E la vicenda si dipana su due livelli, uno individuale e uno sociale. Quello individuale riguarda il giovane Aslan, un tredicenne introverso e spietato. Quello sociale riguarda la scuola dove l’apparenza è assolutamente preservata, si deve andare vestiti in uniforme (camicia bianca e completo scuro), anche alle ragazze di stretta osservanza musulmana è vietato il chador, perché la divisa scolastica è più importante della fede. Gli insegnanti sono tutti algidi, i metodi didattici antidiluviani. Dietro le quinte però, nei cortili, regnano fra i ragazzi dinamiche perverse, bullistiche e mafiose, che fanno un baffo al giovane Törless oppure a If... , di cui Aslan dapprima e il compagno di banco Mirsain, venuto dalla città, in seguito divengono vittime. Fin quando, con grande soddisfazione dello spettatore, il superbullo viene fatto fuori. Non si sa da chi, perché né questo, né un successivo omicidio ci vengono mostrati dal regista. Questo lo scarno intreccio del film. La ricerca del colpevole da parte della polizia occupa l’ultimo quarto della pellicola; una ricerca che non va tanto per il sottile, viste le tecniche di tortura messe in atto dalla polizia kazaka (se i metodi utilizzati sono anche solo vagamente realistici, non c’è da stare allegri e la distribuzione del film in quel paese potrebbe non essere semplicissima). Ma arrivato a quel punto lo spettatore non farà una piega: o è già uscito dalla sala oppure alla violenza, alla tortura ci avrà fatto l’abitudine. Perché la gran parte del film si regge sulla violenza, non una violenza splatter, ma una violenza per l’appunto sadica. Soprattutto nelle scene ambientate nella spoglia stanza di Aslan la macchina da presa con sguardo – è proprio il caso di dirlo – entomologico racconta gli ingegnosi esperimenti del ragazzo con scarafaggi e lucertole. Il top? una mini-sedia elettrica fatta col fil di ferro collegato a un circuito elettrico dove viene adagiato uno scarafaggio. Perché il ragazzo si comporta così? L’originalità del film consiste proprio nello stare alla larga da qualsivoglia psicologismo (tipo: povero ragazzo senza genitori, povero ragazzo senza amici, povero ragazzo in quel mondo sperduto), nell’evitare altresì un intento univocamente patologizzante. Certo, la tentazione di vedere nel sadismo del ragazzo il prodotto di una società dove il sopruso regna sovrano appare piuttosto forte. Anche se, al più tardi quando in mezzo ai vari docenti che si alternano in classe è il turno del prof di biologia che spiega Darwin, si ha la sensazione che il buon Bagazin scopra le carte: il sopruso non regna sovrano solo in Kazakistan, bensì nell’universo, rivelandoci il tragico fatalismo del suo modo di vedere il mondo. Rispetto al quale non sembra che siano previste vie d’uscita, momenti di scarto, men che meno barlumi di speranza. Difficile pensare che lo siano le sale gioco di Happylon, mitizzate da Mirsain. A ben vedere, però, una minuscola speranza c’è: la surreale pecora dancing on ice con cui si chiude il film. Anche il concorso della Berlinale sta per chiudersi e si può azzardare il pronostico che Uroki Garmonii potrebbe portarsi a casa il premio della Giuria o il premio alla fotografia. Se poi i giurati vorranno fare una scelta coraggiosa e disturbante, potranno anche dargli l’Orso d’Oro. Non sarebbe uno scandalo.
(Uroki Garmonii); Regia, sceneggiatura: Emir Bagazin; fotografia: Aziz Zhambakiyev; interpreti: Timur Aidarbekov (Aslan); Aslan Anarbayev (Bolat); Mukhtar Andassov (Mirsain); Anelya Adibelkova (Akzhan); produzione: JCS Kazahkfilm; origine: Kazakistan, 2013; durata: 110’.
