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Harry Potter e i doni della morte parte II

Pubblicato il 13 luglio 2011 da Alessandro Izzi
VOTO:


Harry Potter e i doni della morte parte II

Sulla carta gli ultimi capitoli del settimo episodio di Harry Potter avevano già una strana logica cinematografica.
In fin dei conti l’intero progetto della Rowling è il frutto di un peculiare meccanismo di cross over in cui le ragioni della letteratura si piegano sempre più alle dinamiche del merchandising.
Il primo volume delle serie è, da questo punto di vista, forse l’unico capitolo dell’intera saga a subire in misura minoritaria le oscillazioni del mercato. La scrittrice lo scrisse, infatti, di getto, in risposta a sollecitazioni molto personali e al bisogno di esorcizzare fantasmi molto privati. Da queste spinte interiori era venuto un volume per ragazzi che si poneva come unico obiettivo quello di accontentare le esigenze del suo target di riferimento. Da qui la struttura straordinariamente episodica della narrazione e il forte umorismo impiegato nel tratteggio dei vari personaggi: regole imprescindibili per chi si rivolge a bambini che non hanno ancora appieno sviluppato un’attenzione a lunga gittata nei confronti della narrazione.

Anche se è evidente che il libro contiene in nuce tutti gli ingredienti per lo sviluppo nei successivi sette volumi, il secondo episodio si prefigura come sequel perfetto: stesso percorso narrativo, una svolta precisamente dark ed una narrazione più lineare ed unitaria che segue la crescita di un anno almeno dei piccoli lettori che, nel frattempo hanno superato le migliaia.
Il fenomeno commerciale non inficia ancora i risultati del terzo capitolo, forse il migliore del ciclo, che comincia ad abbandonare le tracce del romanzesco in cerca di un approccio già più adulto e maturo con il proprio pubblico. Di lì in poi sarà un graduale accrescersi nell’approfondimento delle tematiche (con risvolti via via più politici), cui fa, però seguito, un’accresciuta cura al dettaglio visivo. I romanzi della Rowiling, infatti, cominciano improvvisamente a riempirsi di suggestioni immaginifiche. Le descrizioni, pur non apparendo più minuziose, cominciano a fare affidamento ad un substrato che è dato per già presente nei lettori di riferimento.
La differenza fondamentale tra i primi tre romanzi (e in parte il quarto) e quelli successivi è che un altro elemento si è aggiunto nello scacchiere: sono iniziate le trasposizioni cinematografiche. L’arrivo dei film di Columbus produce un effetto sia sui lettori (che cominciano ad immaginare i personaggi con le fattezze degli attori che li interpretano sullo schermo) che sull’autrice che comincia a porsi a livello via via più consapevole il problema di come saranno riportate sullo schermo le sue creature.

I doni della morte porta a completamento questo processo con un romanzo che sembra fatto apposta per prestarsi alla trasposizione cinematografica.
Alcune scene, come quella in cui Harry riguarda il ricordo di Piton nel pensatoio, anzi, sembrano essere già cinema, sembrano pensate e già tradotte nella controparte audiovisiva. La scena del pensatoio in particolare sembra essere proprio la risposta all’esigenza di spiegare le carte dell’intreccio quasi giallo senza il ricorso alla voce fuori campo, ma anche senza scendere all’abuso del flash-back.
Il romanzo ne risulta impoverito, il film ha più materiale giostrabile nell’economia della sua narrazione, il merchandising ha lo spazio per richiedere la divisione della grande massa narrativa in due episodi.

Hanno ragione i detrattori quando dicono che l’idea di dividere l’ultimo capitolo della saga risiede soprattutto nel bisogno di rispondere ad esigenze di marketing. Ma non si deve dimenticare che il marketing entra in Harry Potter dalla porta principale e non dalla finestra del primo piano. Il marketing determina l’estetica dell’operazione. È l’anima nera di una bacchetta d’oro zecchino. È mischiata nelle pagine del romanzo che sono intrise di cinema. Staccare l’una dall’altra dall’intrico è impossibile.
Quel che si può dire con certezza (sempre relativa perché la critica non può mai essere operazione per assoluti) è che gli ultimi capitoli del settimo episodio sono talmente intrisi di cinema da funzionare meglio sullo schermo che sulla carta stampata. Pur nella perdita del dettaglio (è qui che la Rowiling si è presa, sin quasi alla fine, la sua sostanziale rivincita rispetto alla controparte cinematografica incapace a star dietro a tanta messe di minuzie) il finale del film appare più commovente, più meditato e meno meccanico del romanzo che, invece, si faceva più deludente.
Le ultime pagine di Harry Potter erano già più cinema che letteratura e per questo apparivano meno necessarie e belle di quelle che le avevano preceduto. Nel film, invece, pur nella sostanziale perdita di sottigliezze (la scena dell’incontro con Draco è ben più dolente sulla pagina) persino l’appendice a diciannove anni di distanza appare più motivata. Resta sempre il problema della comprensibilità narrativa che sacrifica molti personaggi (perdendo, quindi, in coralità) in nome della pulizia della linea narrativa, ma è un problema che passa in secondo piano rispetto ad un ordito forse meno mosso del primo tomo de I doni della morte, ma comunque sempre agitato in un presto con brio.
La metamorfosi da libro a film è dunque compiuta. Non c’è sorpasso, ma almeno c’è il sostanziale pareggio nel nome di un’estetica ancora tutta da studiare.

Il merchandising trionfa solo negli aspetti collaterali: il 3D mai stato così inutile, il ritorno (spesso come comparse) di personaggi dati per dispersi negli episodi precedenti eccetera. Però le emozioni non mancano ed in fondo era questo quel che volevano i fans del mondo. Che non resteranno delusi da questa messe di fuochi artificiali dall’anima triste di favola adulta.


CAST & CREDITS

(Harry Potter and the Deathly Hallows - part II); Regia: David Yates; sceneggiatura: Steve Kloves; fotografia: Eduardo Serra, A.S.C., A.F.C.; montaggio: Mark Day; musica: Alexandre Desplat; interpreti: Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson, Ralph Fiennes, Helena Bonham Carter, Tom Felton, Maggie Smith, Alan Rickman; produzione: David Heyman, David Barron, J.K. Rowling per Heyday Films; distribuzione: Warner Bros. Pictures; origine: Regno Unito, 2011; durata: 123’


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