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Havoc - Fuori controllo

Pubblicato il 3 agosto 2007 da Alessandro Izzi


Havoc - Fuori controllo

A raschiare il fondo della botte, a resuscitare i vari fondi di magazzino, insomma a fare quel che in genere si fa per programmare l’estate cinematografica italiana (pompata quest’anno da Transformers ed Harry Potter che già hanno creato un caso), può capitare di imbatterci in qualche sorpresa inaspettata. Havoc - Fuori controllo è una di queste e stupisce che si sia aspettato tanto per rispolverare una pellicola che vanta nomi illustri e tutt’altro che sconosciuti sia per un pubblico più "raffinato" che per le grosse platee delle arene estetive che un po’ ovunque sorgono come funghi.
L’opera in questione è, infatti, il primo film di finzione di Barbara Kopple meglio conosciuta dal pubblico italiano per la coregia di un documentario bellissimo su Woodstock: My generation e vincitrice di ben due Oscar per i documentari Harlan County, U.S.A. e American dream. La sceneggiatura reca la firma di Stephen Gaghan, già autore dei notevoli script di Traffic e di Syriana. Il cast poi annovera alcuni dei volti più interessanti della new generation indie/hollywoodiana dalla Anne Hathaway trasnfuga da The Princess Diaries e prossima ai fasti di Il diavolo veste Prada (evidentemente in cerca di maggiore dignità attoriale) alla Bijou Phillips di Black and white, dal Joseph Gordon-Levitt apprezzatissimo interprete di Mysterious Skin di Araki sino al Freddy Rodriguez visto in Lady in the water di Shyamalan e in Bobby di Estevez.
Questo appeal da film indipendente, che avrebbe dovuto se non altro incontrare i favori della distribuzione più di nicchia italiana, deve però aver urtato con la relativa difficoltà di incasellare il film all’interno di una categoria precofenzionata, fosse anche qualle vaga ed ambigua del puro film d’essay.
A dirla tutta il film risulta, alla visione, abbastanza difficile, spesso noioso e sempre ad un passo dallo stereotipo puro e semplice del film adolescenziale e dello spaccato generazionale dalle molte ambizioni e dai pochi meriti reali. Eppure, nonostante queste apparenze respingenti, ci risulta difficile liquidarlo immediatamente e con poche righe come ha fatto la maggior parte della critica specializzata americana.
Cantore accorata della generazione degli anni ’70, la Kopple conferma il suo bisogno di puntare la macchina da presa sia sul mondo adolescenziale, sia sulle contraddizioni del sogno americano che quelli stessi giovani spesso condanna ad esistenze tutt’altro che realizzate.
Mentre My generation, però centrava il suo discorso sull’utopia e sul bisogno di trasgfressione degli anni della contestazione, Havoc mette a fuoco il suo sguardo sul mondo dell’omologazione contamporanea con giovani sempre più sbandati e disaddati.
Da questo punto di vista, forse, nessun posto avrebbe potuto meglio offrirsi ad un’indagine di questo tipo se non una Los Angeles capitale ideale del cinema divisa tra i quartieri alti di una rampante classe agiata e i sobborghi multietnici popolati, a notte, da outlaws di vari ordini e gradi.
La narrazione prende avvio da un soggetto molto semplice e quasi archetipico con il racconto delle disavventure di un paio di adolescenti che, annoiate dal loro mondo, decidono di inoltrarsi nei terriori proibiti dei sobborghi in cerca di eccitazione e fuga dalla routine con tutti gli incidenti e le incomprensioni che ne derivano.
Su questo esile filo la regista gioca inizialmente le sue carte da documentarista con una rappresentazione quasi in tempo reale, macchina a mano, di una notte brava nei quartieri alti. Il disagio dei giovani, celato sotto le apparenze di un festino notturno, traspare, purtroppo, come da copione, seguendo cadenze narrative troppo spesso viste al cinema per non apparire stantie e risapute. Si sente che la mano di un’autrice non ancora a suo agio con gli stilemi del film di finzione, non sempre riesce a toccare i nervi scoperti del fenomeno che pure vorrebbe sorprendere con giusti accenti di reale compartecipazione.
Quando poi le giovani protagoniste si addentrano nei sobborghi in cerca di nuove avventure e di una sorta di realizzazione sessuale, le cose sembrano peggiorare notevolmente visto che il contrasto tra i due ceti sociali rappresentati sfiora momenti di un manichesimo a tratti odioso.
Eppure è proprio questa apparente prevedibilità a farsi, ad un certo punto, portatrice di senso. Nel mondo dorato dell’autoanalisi nel quale viviamo, dove ogni azione passa al vaglio di sociologhi e psicologhi, sembra essersi perso il contatto vero con noi stessi e con gli altri.
Tutto diventa il contrario di tutto, non ci sono più appigli per trovare una qualsiasi forma di autodefinizione. Se per ogni emozione è sempre pronta un’etichetta, sembra diventare impossibile, alla fine, ogni scoperta ed ogni maturazione personale. La grande tragedia raccontata nel film, da questo punto di vista, è che il contatto improvviso tra proletariato e alta borghesia non sortisce alcun effetto reale perchè i giovani che ne sono testimoni hanno da tempo perso la capacità di comprendere se stessi e, quindi anche di capire realmente l’"altro da sé".
Lo stesso cinema sembra condannato all’impossibilità di "vedere" e di parlare come sembrerebbe dirci il cineasta in erba interpretato da Matt O’Leary che, girando un documentario sui suoi coetanei "sembra" avere uno sguardo più ampio degli altri, ma è in realtà legato all’incapacità di gestire quella stessa realtà che pure evoca con l’azione della sua macchina da presa (esemplare in questo senso la scena in cui filma la Hathaway che si esisbisce per lui in una performance attoriale da personalità multipla che non fa altro che mettere l’accento sulla sua incopacità di dire chi veramente ella veramente sia).
Insomma, a dirla tutta, un film forse un po’ troppo sottovalutato nei circuiti internazionali.


CAST & CREDITS

(Havoc); Regia: Barbara Kopple; sceneggiatura: Stephen Gaghan; fotografia: Kramer Morgenthau; montaggio: Nancy Baker; musica: Cliff Martinez; interpreti: Anne Hathaway (Allison), Bijou Phillips (Emily), Shiri Appleby (Amanda), Michael Biehn (Stuart), Joseph Gordon-Levitt (Sam), Matt O’Leary (Eric), Freddy Rodriguez (Hector), Laura San Giacomo (Joanna); produzione: Media 8 Entertainment, Stuhall Productions Inc., VIP 2 Medienfonds; origine: USA, 2005; durata: 85’


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