Heimat 3

Vent’anni esatti ci separano dal primo Heimat (1984, in 11 episodi di 15 ore e 40 di durata) e dodici da quel sequel sui generis che è stato Heimat 2 - Cronaca di una giovinezza (1992, in 13 episodi per la durata di circa 25 ore e mezzo), due film-monstre in cui il regista tedesco Edgar Reitz, sulle orme di Berlin Alexanderplatz di Rainer Werner Fassbinder, ha sancito un fortunato quanto problematico matrimonio tra cinema d’autore e serialità di ascendenza televisiva. Nel primo ciclo - lo ricordiamo per i lettori più giovani - si ricostruiva la Storia tedesca dal 1919 al 1982 scrutata dall’ottica sgemba e periferica di Schabbach, un immaginario villaggio dell’Hunsrück, la piccola regione natale del regista ai margini del Reno, all’incirca tra Magonza e Treviri; nel secondo invece si raccontava, con touch lievemente autobiografico e un po’ nostalgico, un periodo storico (gli anni Sessanta) e uno spazio (la Monaco bohémien) ben definiti, incentrando il plot su un personaggio, quello del musicista Hermann, già sfiorato nella prima serie. A definitivo completamento di questi due diversi exploits e partendo dall’idea che tre è il numero perfetto, giunge infine Heimat 3 - Cronaca di un cambiamento epocale, al termine di un periodo di preparazione faticosissimo, fatto di nove interminabili anni di ricerca dei finanziamenti e due di riprese. Reitz ha un po’ ridotto le dimensioni del suo nuovo opus (rispetto al passato solo sei puntate per complessive 12 ore scarse di proiezione) ma ha mantenuto la grandiosità dell’impianto narrativo a grappolo dei due precedenti film e gli ardimenti dello stile che, tra b&n e colore (qui nei primi quattro episodi), alterna il serio al faceto, il dramma alla farsa. Infrangendo un tabù non scritto del cinema tedesco contemporaneo, l’ambizione del regista e del suo sceneggiatore, lo scrittore orientale Thomas Brussig, è stata quella di raccontarci la Riunificazione della Germania, i dieci anni che vanno dalla svolta del 1989 sino all’alba del 2000 - un argomento che sinora in pochi in patria hanno trattato in maniera convincente. Per far ciò Reitz è ritornato nell’Hunsrück o meglio ai suoi confini, in una casa di campagna con una splendida vista sul Reno, e ha ripescato da Heimat II le due figure centrali, i musicisti Hermann e Clarissa, sempre interpretati da Henry Arnold e Salome Kammer; mentre dal primo ciclo derivano i fratellastri del protagonista, Ernst e Anton, i cui destini si incrociano a quelli di Hermann, mentre si avvicendano tante nuove piccole storie soprattutto di emigranti dalla vecchia RDT o di russi tedeschi che hanno abbandonato l’ex Unione Sovietica. E’ una potente metafora - portare l’est ad ovest - a sorreggere la struttura narrativa di Heimat 3 che, in un crogiolo di vari dialetti, inizia con grandi eventi pubblici (la caduta del Muro di Berlino, la vittoria ai campionati di calcio del 1990) e si esaurisce in un grande party nel quale tutti i personaggi della saga festeggiano insieme l’avvento del terzo millennio. Si tratta, a ben vedere, di un viaggio metaforico dal Pubblico al Privato, dove si abbandona pian piano la Storia o l’attualità politica, e lungo cui incontriamo il crollo delle speranze democratiche dell’Unificazione, l’espandersi del capitalismo selvaggio nei nuovi Länder, l’affievolirsi delle spinte ecologiste e pacifiste, il trionfo della globalizzazione e della mediocrità arrivista. Come tanti cittadini della nuova RFT - ce l’ha rivelato una recente inchiesta secondo cui il 20% della popolazione da entrambe le parti rimpiange l’era della divisione - Reitz non si sente più a casa nella Nuova Germania odierna, e non lo nasconde affatto: se già da tempo si parla in patria del fenomeno della nostalgia per l’est, dopo Heimat 3 forse si potrà iniziare parlare anche al cinema di nostalgia per l’ovest. Tale spirito è incarnato esemplarmente nella figura di Hermann, che è un po’ l’emblema di una generazione indecisa, quella dei cinquantenni, che non riesce a realizzare compiutamente le proprie utopie e speranze. Ma che comunque, per fortuna, non molla mai. Venato quindi da una decisa nota di pessimismo, attenuato, però, da ampi sprazzi umoristici, il film di Reitz ci offre dei momenti di grande cinema (a nostro avviso tutta la quarta puntata, o nel finale l’eclisse a Monaco del 1999) accanto a qualche pausa narrativa più debole. Se si è sfiorato l’obiettivo del primo ciclo per cui un villaggio sperduto come Schabbach si trasformava nello specchio veritiero del pianeta terra, questa Heimat 3, dove ogni spettatore è libero di pescare le storie o i suoi personaggi preferiti, sembra invitarci ad una salutare pausa di riflessione sulla Germania e l’Europa di oggi. Insomma: tedeschi sotto la tenda del circo: perplessi.
[settembre 2004]
(Heimat 3 - Chronik einer Zeitenwende)
regia: Edgar Reitz sceneggiatura: Thomas Brüssig, Edgar Reitz fotografia: Thomas Mauch, Christian Reitz (5 e 6 episodio) montaggio: Susanne Hartmann musica: Nikos Mamangakis, Michael Riessler interpreti: Henry Arnold, Salome Kammer, Michael Kausch, Matthias Kniesbeck, Christian Leonard, Uwe Steimle, Larissa Iwlewa produzione: Robert Busch per Edgar Reitz Filmproduktion (Monaco) durata: 680’ distribuzione: Mikado
