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Hooligans

Pubblicato il 9 giugno 2006 da Alessandro Izzi


Hooligans

La nostra percezione degli Hooligans è, in fondo, sempre stata viziata da un certo paternalismo un po’ d’accatto.
Presi da un delirio sociologico che deve sempre riportare ogni fenomeno all’interno di uno schema prettamente legato alla dimensione della lotta tra classi, ci aveva fatto piacere pensare agli Hooligans come ai figli di un malessere profondo del sottoproletariato inglese. In una realtà di disoccupazione dilagante, legata a doppio filo alla politica repressiva della Tatcher prima e a quella finto sinistroide di Bleir poi, l’esplosione violenta delle tifoserie calcistiche era un segnale preoccupante di profondo disagio sociale.
Gli Hooligans li avevamo sempre pensati come ragazzi sradicati, senza un reale futuro davanti e con un passato problematico alle spalle. Abitanti di una periferia abbruttita nell’abitudine della cattiva coscienza cui un governo dal recente passato coloniale non sapeva garantire diritti elementari come l’istruzione e il lavoro.
Più come il Liam di Sweet sixteen che non come i simpatici protagonisti del segmento inglese del film collettivo Tickets, insomma. E il fatto che i due film testè citati, per quanto non realmente connessi, comunque, al fenomeno dell’hooliganismo, condividessero la firma di uno stesso regista (Ken Loach, mica uno qualunque) e avessero addirittura lo stesso attore (Martin Compston) non ci aveva neanche per un momento portato alla considerazione che forse le cose non stessero, comunque, come ci faceva troppo comodo pensare.
A scombinare le carte in tavola arriva adesso un film un poco controverso (fuori d’Italia) di Lexi Alexander, una donna una volta tanto che ci parla di calcio e tifosi.
La semplice storia è presto detta: un giovane laureando in giornalismo americano (Elijah Wood: non sempre efficace, ma ammirevole nella sua ricerca di personaggi scomodi e problematici dopo l’exploit de Il Signore degli anelli) viene espulso da Harvard perché trovato in possesso di sostanze stupefacenti (ma le droghe erano dell’antipatico compagno di stanza ricco e viziato come da copione). Sbandato per l’assenza di un padre troppo impegnato, il ragazzo finisce a Londra, a casa della sorella, dove viene in contatto con un gruppo di Hooligans subendo tutto il fascino della possibilità di dar libero sfogo ai suoi istinti violenti. Naturalmente non mancheranno gelosie e reciproche incomprensioni, come non potrà mancare anche l’evento luttuoso finale che rimette a posto le cose, ma solo fino ad un certo punto.
Colpisce la volontà della regista di ritrarre gli Hooligans non come i figli necessari di un sistema malato, ma come persone fin troppo normali. A fondare le varie sezioni delle tifoserie non è, quindi, tanto il comune senso di precarietà, quanto piuttosto il desiderio tutto maschile e quasi tribale, di fondare delle comunità in un certo senso alternative al nucleo familiare spesso sbandato o inesistente. Un senso di appartenenza, costruito su una precisa concezione di onore e di rispetto è il collante che mette insieme persone diverse ed eterogenee che vanno dal disoccupato (che certo non manca) all’insegnate di storia. Un bullismo, alla fine, che certo degenera in atti violenti, ma di cui è responsabile il microcosmo familiare prima ancora che in contesto sociale e, quindi, anche politico nel quale il fenomeno prende corpo.
Il film ci dice, insomma, che c’è un piccolo Hooligan in ciascuno di noi e che la sua espressione passa, sì, per forme diverse, ma è sempre motivata da un Goldinghiano tribalistico bisogno di violenza. Perché, in fondo, la realtà di Harvard che apre e chiude la pellicola, non è poi tanto diversa da quella degli stadi di calcio dove hanno luogo, in modi diversi, gli stessi giochi di sopraffazione.
Peccato che il film non sappia portare fino in fondo e alle estreme conseguenze i suoi pur interessanti spunti di riflessione. Lexi Alexander non è Irvine Welsh (né Danny Boyle se è per questo) e il suo discorso resta troppo ancorato ad un fondo di buon gusto che non viene meno neanche nelle varie scene di pestaggio in cui la regia non riesce a far altro che a puntare su un leggero “accelerando” delle immagini per rendere un senso di violenza che non ci viene, comunque, mai mostrata fino in fondo.
In questo modo il film non riesce ad essere né esaltazione, né critica della violenza, ma neanche riesce ad essere una piana realistica rappresentazione delle cose così come sono. Incerta su più piani la pellicola naufraga, purtroppo, in un discreto anonimato che ci lascia presto con l’amaro in bocca.

(Hooligans); Regia: Lexi Alexander; sceneggiatura: Lexi Alexander, Dougie Brimson, Josh Shelov; fotografia: Alexander Buono; montaggio: Paul Trejo; musica: Christopher Franke; interpreti: Elijah Wood (Matt), Charlie Hunnam (Pete), Claire Forlani (Shannon), Leo Gregory (Boover), Ross McCall (Dave), Rafe Spall (Swill), Christopher Hehir (Keith); produzione: Baker Street, Odd Lot Entertainment; distribuzione: Eagle pictures

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