Horizon

Già in occasione del suo lungometraggio di esordio, presentato sempre a Berlino e sempre nella sezione “Panorama” la regista georgiana Tinatin Kajrishvili, adesso quarantenne, si era fatta apprezzare. Il titolo inglese del film suonava Brides, cioè Spose e raccontava di una donna sposata a un uomo in carcere e di tutte le complicazioni derivate da tale costellazione (una vicenda che, casualmente, si ritrova in Jibril, un non memorabile film tedesco presentato quest’anno in “Panorama” della regista Henrika Kull). Al di là di numerosi passaggi in vari altri festival il film era stato distribuito per esempio in Francia. Quattro anni dopo la regista torna a Berlino con il suo secondo lungometraggio intitolato Horizon, anch’esso un film più che dignitoso, anche se si fa fatica a capire il senso del titolo, visto che al protagonista di questa lenta e inesorabile discesa verso l’abisso della depressione è proprio un orizzonte a mancare. Restauratore di mestiere, Giorgi viene lasciato dalla moglie che ha un altro. Giorgi non se ne dà pace, non vuol prenderne atto, prova ora in modo gentile ora in modo inopportuno a convincerla del contrario, ci sono anche due bambini di mezzo che al padre sembrano anche affezionati. Niente da fare: la moglie lo considera solamente un caro amico ormai, l’amore è altrove. E allora Giorgi sparisce, senza dire nulla a nessuno. E finisce su segnalazione di un ex collega a cercar pace in una zona lacustre, anzi paludosa non distante dalla città portuale di Poti sul Mar Nero. Qui prende alloggio in una casupola miserrima che, se uno aveva bisogno di tirarsi su, mamma mia. E anche le persone che gravitano intorno a queste due o tre stamberghe sono quattro disperati, soli come cani, che si fanno una tristissima compagnia, fra torte fatta in casa e non poca vodka: un uomo e una donna anziana che intrattengono una specie di rapporto di coppia, un pescatore/cacciatore e una donna di servizio che non parla mai, tutte persone finite lì chissà come e chissà quando che sopravvivono non si sa neanche bene come (nel pollaio ci sono galline e anatre spelacchiate e poco altro). La moglie o ex moglie Ana, preoccupata per la sua sparizione, riesce a rintracciarlo e lo va anche a trovare rialimentando le illusioni di Giorgi che un nuovo inizio sia possibile. Come lo spettatore capisce all’istante, non è così, la moglie è gentilissima, a suo modo affettuosa, ma ferma nei propri propositi. Qualche altro incontro, qualche altro episodio e poi la vicenda finisce come fin dall’inizio immaginavamo dovesse finire, malgrado il titolo ingannevole del film e malgrado qualche scambio di battute in un prefinale che produce una leggera sorpresa e un lieve sorriso. La sceneggiatura non è forse il punto forte di Horizon, ma lo è la regia, lo è la fotografia, con splendide riprese, piani sequenza che raccontano questo paesaggio naturale a tratti bellissimo a tratti di una tristezza abissale, dove la pioggia è torrenziale e la neve rigidissima, e poi i primi piani sui volti segnati di questi naufraghi della vita. Una natura che tuttavia non è in grado di riscattare il fallimento del protagonista e la sua irredimibile incapacità di ricominciare, di darsi una nuova possibilità.
(Horizonti). Regia: Tinatin Kajrishvili sceneggiatura: Tinatin Kajrishvili, David Chubinishvili; fotografia: Irakli Akhalkatsi; montaggio: Irakli Akhalkatsi; interpreti: George Bochorishvili (Giorgi), Ia Sukhitashvili (Ana), Jano Izoria (Jano); produzione:Gemini, Tbilisi, Momento Film, Stoccolma; origine: Georgia 2018; durata: 105’.
