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Hotel Rwanda

Pubblicato il 18 marzo 2005 da Fabrizio Croce


Hotel Rwanda

Non sempre intenzioni onorevoli si coniugano con la capacità di fare grande cinema, pur essendo molto spesso proprio la realtà la materia più incandescente su cui modellare l’immaginario. Incadescente e clandestina -perché poco documentata e filmata dai mass media- è sicuramente la guerra civile che infiammò il Rwanda all’inizio degli anni novanta, quando si scatenò la barbarie dell’etnia Hutu contro quella Tusti, condannando quest’ultima al genocidio e alla dispersione.Un dramma che deve aver particolarmente colpito il cuore e i nervi dell’irlandese Terry George, proveniente da un altro conflitto fratricida e da un’altra guerra civile, che come sceneggiatore avevà già raccontanto attraverso la storia di Gerry Conlon in Nel nome del padre di Jim Sheridan.Anche qui George attraversa la storia di un uomo comune imbrigliato nella piaga sanguinosa della Storia, quel Paul Rusesabagina, gestore di un Hotel a quattro stelle, che aprì le porte del suo albergo ai profughi, più atterrito dall’orrore che fulminato dalla luce dell’eroismo. E a livello puramente informativo il film risulta interessante, avvincente, sconcertante nel sondare la connivenza tra il potere occidentale occulto e l’alimentarsi dell’irrazionale odio etnico, ma il tutto è rappresentato con una decenza, un pudore, quasi una mortificazione estetica che rende ogni immagine omogenea, simile a un qualsiasi dignitoso reportage televisivo, senza nessuno slancio, nessuna dissonanza o possibilità di lasciare un segno denso di luoghi e corpi. Le inquadrature di George sui volti sofferti di Don Cheadle e Sophie Okonedo(Paul e sua moglie Tatiana), dotati di una lora intensità a prescindere dalla mdp che li filma, non suggeriscono quella sospensione emotiva e morale da spingere ad una riflessione che trascenda la forza dei fatti e alimenti un vissuto quasi tangibile, una memoria emotiva collettiva, un momento di condivisione da dentro a fuori lo schermo, la realtà che diventa verità.Ci si commuove e ci si indigna non per il monocorde e convenzionale susseguirsi di immagini di esodi di massa alternate a scene esplicative e didascaliche, ma pensando che tutto ciò è successo in un altrove temporale e fisico dal nostro. Bisogna uscire dalla tenue, sbiadita copia bidimensionale dove le persone\personaggi sono ridotte a figurine sacrificate sull’altare della “ giusta causa”, per cui tutte le implicazioni psicologiche e morali nella scelta di Paul-come il suo passaggio da entità individuale e privilegiata a membro di una collettività dove la sopraffazione e la violenza hanno azzerato tutto-si perdono nella cocciuta e stimabilissima volontà di raccontare la tragedia, non svelarne il senso profondo. Forse si vorrebbe semplicemente che il cinema offrisse un respiro più assoluto alle macchie rosse della Storia, e non gli spazi angusti e ristretti di una serata davanti a rai educational.

[marzo 2005]

Regia: Terry George; Sceneggiatura: Terry George, Keir Pearson; Fotografia: Robert Fraisse; Musica: Jerry Duplessis, Rupert Gregson-Williams, Andrea Guerra; Interpreti: Don Cheadle, Sophie Okonedo, Nick Nolte, Cara Seymour, Joaquin Phoenix; Produzione: Kigali Releasing Limited, Lions Gate Films Inc., United Artists

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