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Houdini - L’ultimo mago

Pubblicato il 28 aprile 2009 da Lorenzo Vincenti


Houdini - L'ultimo mago

Il legame tra la figura mitica di Harry Houdini e l’arte affabulatoria del cinema è molto più forte di quanto in realtà si possa immaginare. Prima di tutto perché da sempre l’illusionismo e la prestidigitazione hanno trovato nella cinematografia una sorta di prolungamento ideale dell’aura magica sprigionata dai numeri di un artista (è sufficiente andare di poco indietro negli anni per trovare due titoli interessanti come The prestige e The illusionist), poi perché lo stesso prestigiatore americano (ma nato a Budapest), nel momento di massimo splendore della propria carriera, è stato protagonista di alcune pellicole mute autoreferenziali, dedicate all’esaltazione delle sue capacità ma delle quali oltre alla spettacolarità di alcune immagini è sinceramente difficile ricordare altri elementi d’interesse, ed infine perché la stessa industria cinematografica ha dimostrato e continua a dimostrare tuttora di voler contribuire all’alimentazione del mito di Houdini attraverso la realizzazione di opere biografiche a lui dedicate. Come quella diretta nel 1953 da George Marshall (Il mago Houdini) o quella appena uscita nelle nostre sale per la regia di Gillian Armstrong. Due opere molto diverse tra loro ma che mostrano entrambe una certa riluttanza ad affidarsi alla fedeltà del biopic puro, al quale preferiscono per larghi tratti una interpretazione degli avvenimenti che possa in tal modo perseguire una esaltazione della leggenda dell’illusionista senza correre il rischio di annoiare con aneddoti poco interessanti. Per il resto i punti di contatto tra l’opera del ‘53 e quella odierna sono ridotti al minimo. Se George Marshall preferisce infatti una costruzione leggera e vagamente ironica della storia ed una forma di natura classica, la regista australiana si indirizza più verso una realizzazione in grande stile, fascinosa e visivamente molto incisiva. L’obiettivo principale della Armstrong (contrariamente al lavoro di Marshall) è quello di isolare una parte della vita di Houdini, tralasciando gli anni dell’ascesa e della consacrazione e concentrandosi prevalentemente su una inaspettata dimensione romantica. E’ questo il punto centrale dell’opera, la rappresentazione dell’anima di un uomo messa a dura prova dall’incontro fortuito con il fascino di una donna meravigliosa. Il pretesto è una tournée mondiale del mago, il movente dell’incontro è il concorso da lui organizzato per riuscire a trovare un medium in grado di indovinare le ultime parole pronunciate dalla povera mamma prima di morire, il contesto è la Edimburgo del 1926, luogo in cui la bella protagonista e sua figlia si guadagnano da vivere organizzando spettacoli di veggenza molto più vicini alla truffa che alla trascendenza vera e propria.
Con queste premesse si consuma l’incontro tra i protagonisti di un film particolarmente melenso, non molto efficace sotto l’aspetto della scrittura (non pochi sono i segmenti noiosi e prevedibili dell’opera) e purtroppo deludente anche dal punto di vista dell’apparenza scenica, elemento su cui si sono riversate le maggiori attenzioni dell’autrice. Quello che ne esce è purtroppo un film scollato, farraginoso, vittima della sua messa in scena pretenziosa e schiavo dei clichè melodrammatici, i quali oltre ad appesantire la narrazione impediscono l’alimentazione di fattori che avrebbero sicuramente concesso più chance all’opera. Come il rapporto tra psicologia e magia, ad esempio congiunzione vincente e linfa vitale per un’opera complessa e riuscita come The prestige. Il film invece trascura l’intimità del mago, il suo lato oscuro, la sua difficoltà a confrontarsi con una reputazione in continua ascesa e una opinione pubblica sempre più esigente. La Armstrong predilige la facilità di una storia “carina” e commovente, vera spina dorsale di un film non molto onesto ma sicuramente accomodante. Esso infatti scivola via senza provocare sussulti nello spettatore e nonostante la narrazione tenti a volte di stupire con colpi di scena improvvisi (ma orchestrati in maniera superficiale), il risultato complessivo è comunque da considerarsi fallimentare a causa di un pathos che non esiste e di una carica emozionale troppo concentrata sui facili sentimentalismi.
Anche la recitazione purtroppo non contribuisce all’ascesa del film. Le scarse interpretazioni di Guy Pearce (poco credibile nei panni dell’illusionista) e Catherine Zeta Jones non vengono neanche risollevate dalla vicinanza di due attori bravi come Timothy Spall e Saoirse Ronan, in questo caso troppo emarginati rispetto al centro della scena. Dopo la delusione dell’opera di Marshall è doveroso sottolineare quindi l’ennesimo tentativo fallito di ricostruzione di una figura mitica come quella di Houdini. Un’icona che meriterebbe senza dubbio un maggiore approfondimento, un introspezione psicologica più accurata e, perché no, un biopic anticonformista capace di restituire un immagine dell’illusionista nuova e decisamente più fresca. Sarà per la prossima inevitabile occasione!


CAST & CREDITS

(Death Defying Acts) Regia: Gillian Armstrong; soggetto e sceneggiatura: Tony Grisoni, Brian Ward; fotografia: Haris Zambarloukos; montaggio: Nicholas Beauman; musiche: Cezary Skubiszewski; scenografia: Gemma Jackson; costumi: Susannah Buxton; interpreti: Guy Pearce (Harry Houdini), Catherine Zeta-Jones (Mary), Timothy Spall (Mr. Sugarman), Saoirse Ronan (Benji); produzione: Myriad Pictures, BBC Films, Zephyr Films, ; distribuzione: Eagle pictures; origine: Gran Bretagna, Australia; durata: 93’; web info: http://www.eaglepictures.com/.


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