I 2 soliti idioti

Il fenomeno «I soliti idioti» è, di fatto, di natura prettamente virale.
Si diffonde nell’aria, con buona pace di tutti, e attecchisce meglio dove più concentrati sono gli scambi, i passaggi, i punti di contatto.
Nelle vecchie casette di campagna, senza luce né acqua, non ha vita facile, ma gli basta appena un PC con connessione alla rete per potersi infiltrare e cominciare la sua subdola azione di contagio.
Nel mondo che lo circonda vede solo i corpi di cui impossessarsi. Non gli interessano storie, idee, concetti. Il suo unico desiderio è metterti a letto e farti bruciare di febbre.
Se un novello scienziato dovesse riuscire, meglio di san Francesco, a parlargli e farsi intendere da lui, non ne ricaverebbe niente a dirgli che, uccidendo il corpo che ospita è destinato anche lui a soccombere. L’unica cosa che gli interessa è propagarsi, diffondersi, moltiplicarsi rimanendo sempre uguale a se stesso.
Quando l’anno scorso il virus tentò la strada del cinema, possibile veicolo di una diffusione maggiore, almeno a Natale, gli anticorpi cinema reagirono come è ovvio che facciano tutti gli anticorpi. Fioccarono le recensioni negative, le stroncature senza appello e le frasi livorose che denunciavano che… no, non era Cinema quello che passava sugli schermi.
Il risultato? Un grande starnuto, stizzito e fastidioso che non fece altro che portare l’agente virale più lontano. Ad un virus, in fondo, non importa tanto che se ne parli bene o male. Quel che conta è che se ne parli perché nel fiato che si spreca e nell’orecchio che ne accoglie il suono, c’è tutto il ponte di cui ha bisogno per passare da un corpo all’altro. Anzi, le stroncature fecero il gioco della malattia, favorirono il passaggio. Perché, ad esempio, che gliene importa ai ragazzini che un critico paludato che scrive su un dinosauro come un giornale di carta e inchiostro, parli male di una cosa che c’è al cinema? Buon segno, anzi, vuol dire che deve essere qualcosa di diverso e, quindi, nell’universo manicheo tutto italiano, anche di migliore.
Sarà per questo che la stampa Internet, che quel contagio un po’ se l’era già portato nei forum e nei blog dedicati al duo comico Biggio-Mandelli, fu più blanda, meno cattiva, più attenta a non inimicarsi una fascia di pubblico che era quella, non certo piccola, dei due personaggi.
Quest’anno, complice il ripetersi della scadenza, le recensioni hanno dato spazio a meno fenomeno dello scorso anno e, complice la crisi, anche il film ha retto meno al botteghino. Ma c’è dell’altro: il virus che, come l’influenza cambia ad ogni anno, ha cambiato faccia, ha assunto un volto più cinematografico per confondere gli anticorpi di un sistema sempre più malato indipendentemente dal morbo natalizio.
Così, contro la logica «non narrativa» dello scorso anno che voleva il film impaginato come una serie di scenette quasi autoconcluse, s’è fatto strada il bisogno di una logica «non narrativa» appoggiata su una storia precisa, netta.
Da qualsiasi parte lo si guardi I 2 soliti idioti continua a non voler raccontare. Solo che questa volta vuol dare almeno l’impressione che narrare sia davvero una sua preoccupazione. Così si sceglie una finta storia costruita intorno a fardelli di luoghi comuni: il viaggio iniziatico, la crisi economica, la storia di formazione. Tutte strade che portano solo al problema di dove parcheggiare la macchina alla fine. Per farlo ha bisogno, però, di simulare ulteriormente, di pasticciare con le sue stesse premesse. Ed ecco allora che c’è bisogno di far tabula rasa della memoria storica delle sue stesse maschere, togliendo la memoria ad un polo della coppia e la memoria economica (quindi i soldi) all’altro. Così facendo inserisce un finto elemento narrativo all’interno di una finta premessa. La qual cosa conduce a finti sviluppi per un epilogo che è, in realtà, un ritorno al punto di partenza. Il cerchio si chiude nel grado zero del punto. Non ci si è mossi per tornare a stare dove si stava sin dall’inizio
La tabula rasa, quindi, è sistemica. Il cinema non parla, riflette. Assorbe come spugna quel che ha intorno, senza mediare. Flessibile come gomma, si lascia piegare a tutti gli usi. Nessuno dei quali veramente lecito.
La tabula rasa è sociale, anche se il cinema del duo non vuole essere denuncia, semmai rinuncia. A fronte di un’Italia becera, Biggio e Mandelli non dicono, ma sottintendono l’impossibilità di un cambiamento. Che tutto resti com’è non è la conclusione, ma la premessa del narrare che diventa, quindi, un non narrare perché il racconto pretende sempre, se non altro, un’ansia di cambiamento. I 2 soliti idioti che non fa ridere come il suo predecessore se non per automatismi di meccanicismo comico, resta quindi quel virus che è sempre stato. Parlarne bene o male non marca una differenza neanche per il critico che deve, comunque, parlarne e, quindi, contribuire ancora a diffonderne il contagio.
Dopo il cineaperitivo, il cinepanettone, ecco, quindi, che la nostra ridente penisola dà i Natali ad un’altra formula che, in fondo, è sempre la stessa: la cineinfluenza. O, se preferite, il cinestarnuto!
(I 2 soliti idioti); Regia: Enrico Lando; sceneggiatura: Fabrizio Biggio, Francesco Mandelli, Martino Ferro; fotografia: Massimo Schiavon; montaggio: Pietro Morana; interpreti: Francesco Mandelli, Fabrizio Biggio, Teo Teocoli, Gian Marco Tognazzi, Miriam Giovanelli, Silvia Cohen, Rosita Celentano; produzione: Taodue, in collaborazione con Medusa, Sky Cinema, Mediaset Premium e MTV; distribuzione: Medusa Film; origine: Italia, 2012; durata: 80’
