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I 39 scalini

Pubblicato il 26 marzo 2008 da Giampiero Francesca


I 39 scalini

“Quello che mi piace di Buchan, è qualcosa di profondamente britannico, che in Inghilterra chiamano understatement” (A. Hitchcock)

Understatemen è una parola sostanzialmente intraducibile in italiano, un modo d’essere tutto anglosassone, una figura stilistica vicina alla litote, citando F.Truffaut, ma priva del carattere di modestia che assume nel nostro vocabolario. E’ un “modo di rappresentare avvenimenti molto drammatici con un tono leggero”*. E’ il carattere fondante di The thirty-nine steps (Il club dei trentanove) dello stesso Hitchcock ed è, in fondo, ciò che differenzia la pellicola del maestro inglese dalla messa in scena teatrale, I 39 scalini, di Maria Aitken.
Dalle scelte registiche appare infatti evidente la volontà di creare una piece che non solo rievochi le atmosfere della pellicola del’35 ma che più in generale dimostri un carattere prettamente cinematografico. L’utilizzo di una scenografia semplice, realizzata da Ludovico Riario Sforza, fatta solo di sedie, tavoli, scale e porte, in grado di riadattarsi, di scomporsi e ricostruirsi, di ricreare ambienti e situazioni molteplici dona alla piece un ritmo e una struttura molto vicina a quella del grande schermo. Le interpretazioni di Urbano Barberini e Barbara Terrinoni, ma soprattutto di Franco Oppini e Nini Salerno, interpreti con ironia e disinvoltura di più caratteri, anche contemporaneamente, sembrano poi rispecchiare a pieno le parole dello stesso Hitchcock che, sempre nell’intervista a Truffaut, a proposito de Il club dei trentanove dice: “ Ecco cosa c’è di stupendo, la rapidità dei passaggi. [ ] Bisogna utilizzare un’idea dietro l’altra, sacrificando tutto il resto alla rapidità.”
E’ dunque la rapidità di regia, di messa in scena la forza degli adattamenti, almeno di quelli riusciti, del testo di Buchan. Il rapporto stretto fra la versione cinematografica di Hitchcock e questa messa in scena teatrale non si limita però al ritmo ma pervade l’adattamento stesso di Antonia Brancati. Intere scene, su tutte quella in cui Richard Hannay passa la notte nella casa dell’agricoltore e di sua moglie, la preghiera prima della cena, la fuga nella notte, richiamano direttamente l’opera del ’35. Scene queste che, come ricorda lo stesso Hitchcock, non appartengono direttamente al romanzo di Buchan ma che posseggono un significato e uno stile proprio. E’ perciò interessante notare come proprio nella scena a casa dell’agricoltore la sequenza hitchcockiana da cinema muto venga resa con la stessa intenzione nella piece teatrale. La mimica di Urbano Barberini e Barbara Terrinoni, rispettivamente, in quella scena, Hannay e la moglie del contadino, ha lo stesso carattere di quella di un film muto. Sono i loro atteggiamenti, a tratti anche istrionici, i loro sguardi a dare il segno di ciò che avviene. Mentre il contadino recita un improbabile preghiera Hannay vede la sua foto sul giornale, volge l’attenzione alla moglie del contadino che nota a sua volta la foto, i due si guardano e in quel momento, il contadino, scorgendo lo sguardo fra i due, sospetta una simpatia amorosa. Il tutto senza proferire parola. Il tutto in perfetto stile da cinema muto.
Seppur riecheggiate è comunque ovvio che molte delle idee, dei temi ricorrenti di Hitchcock, dall’innocente accusato ingiustamente allo scambio di persone, appaiano in secondo piano nella piece I 39 scalini. Ed è in questa chiave che ritorna l’understatemen. Come detto è infatti il tono generale delle opere a differenziare i due adattamenti. La sottile ironia hitchcockiana, quel modo d’esser tutto britannico, si trasforma in sonoro umorismo in quest’opera. Un distacco evidente nelle scene cardine che chiede, e spesso riceve, l’applauso, che chiama, e spesso provoca, una grassa risata.

*Il cinema secondo Hitchcock, F.Truffaut



Giampiero Francesca


Regia: Maria Aitken; sceneggiatura: John Buchan e Alfred Hitchcock (traduzione e adattamento di Antonia Brancati); interpreti: Franco Oppini, Nini Salerno, Barbara Terrinoni, Urbano Barberini; aiuto regia: Roberta Formilli; scenografia: Ludovico Riario Sforza; luci: Stefano Pirandello;costumi: Tony Gonzales;produzione: Pier Luigi Misasi per Grande Profilo s.r.l., Giorgio Barattolo per IMAGI s.r., in accordo con Edward Snape per Fiery Angel Limited


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