I CINGHIALI DI PORTICI

Il rugby come metafora della vita. Uno sport duro, faticoso, che richiede grande coraggio e forza di volontà per chi vi si cimenta, senza concedere in cambio grandi platee o la possibilità di scaldarsi sotto le luci della ribalta.
Per il gruppo di irregolari ex-tossici di Portici che scoprono questa disciplina sportiva (anche se la loro è una “scelta” imposta dall’allenatore-assistente sociale, che non crede all’esistenza di nulla di più appagante al mondo) il campionato rappresenta l’unica possibile forma di riscatto sociale.
Il pallone utilizzato nel rugby non è perfettamente sferico - come non lo è il mondo o la vita stessa - ma ovale: questo gli conferisce quei rimbalzi bizzarri e imprevedibili che complicano notevolmente l’esistenza ai giocatori in campo.
Lo spunto iniziale dell’opera, come si vede, era piuttosto originale (i nostri cineasti non avevano mai portato sullo schermo vicende legate a questo sport - ma più in generale raramente da noi si è toccato il genere sportivo), tuttavia il successivo sviluppo del film tradisce non poco le attese.
Il tentativo di fondere il “racconto morale” del recupero di un gruppo di disadattati con quello di stampo sportivo può ritenersi sostanzialmente fallito. Troppi gli spunti portati avanti dal regista Olivares con piglio poco deciso: valga per tutti l’incomprensibile caratterizzazione dei personaggi femminili come “figurine di passaggio”, tanto che viene da chiedersi cosa ci stiano a fare in definitiva in questo film.
Ci sono certo delle buone intuizioni, come quella di far partire la pellicola con il parto notturno del cinghiale femmina, cui i ragazzi del centro assistono commossi, abdicando al sonno. Meno riuscito all’opposto il pretenzioso finale aperto...
Però il “coro” di queste voci fuori campo non confluisce mai in un racconto unitario: ogni riflessione rimane staccata dalle altre, ogni tentativo di fotografare uno di questi ragazzi si conclude con un’istantanea sbiadita che non restituisce i connotati dei singoli individui e le voci di ciascuno si sovrappongono in un caleidoscopio di suoni confusi.
Certo questi difetti possono essere facilmente ascrivibili all’ingenuità e all’inesperienza del regista alla sua opera prima e Olivares ha comunque il merito di mostrarci con uno sguardo fresco e sincero questo mondo di adolescenti perduti e di uomini traditi dalla vita, cui non rimane altro che aggrapparsi ad un unico sogno, anche se non è il loro.
Regia: Diego Olivares; Soggetto e Sceneggiatura: Diego Olivares; Interpreti: Ninni Bruschetta, Carmine Borrino, Carlo Caracciolo, Vito Colonna; Fotografia: Cesare Accetta, Montaggio: Giogiò Franchini, Produzione: Donatella Palermo per A.S.P. e Vip Media; Distribuzione: Vip Media; Origine: Italia 2003; Durata: 87’
