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I DIARI DELLA MOTOCICLETTA

Pubblicato il 13 maggio 2004 da Giovanni Spagnoletti


I DIARI DELLA MOTOCICLETTA

Il 4 gennaio 1953 due giovani argentini di buona famiglia decidono di mettersi in viaggio per scoprire il continente latino-americano: a bordo della mitica poderosa, una Norton 500 del 1939 e poi a piedi e in autostop, percorrono più di 12.000 chilometri e i quattro mesi previsti diventano molti di più. Lo scopo è visitare luoghi nuovi e fidanzarsi con le ragazze di ogni villaggio, ma gradualmente la vacanza si trasforma in un viaggio iniziatico alla scoperta delle radici culturali della civiltà Inca e delle ingiustizie di un mondo in cui i ricchi sfruttano i poveri, per concludersi infine nel lebbrosario di San Pablo, dove la comunità dei malati assurge a simbolo di una dimenticata umanità dolente.
La giovinezza di un capo, si potrebbe dire parafrasando Sartre, visto che il giovane laureando in medicina, innamorato di una ragazza alto-borghese e afflitto dall’asma non è altro che Ernesto Guevara, molto prima di diventare “El Che”, accompagnato dall’amico biologo Alberto Granado. Il regista Walter Salles, già autore del sopravvalutato e lacrimoso Central do Brasil, ha scelto infatti di soffermarsi sulle origini della sua anima rivoluzionaria cercando quanto più possibile di rendere il Mito alla stregua di un ragazzo qualsiasi. Voluto e supervisionato da Gianni Minà, prodotto da Robert Redford e interpretato dall’astro nascente Gael Garcia Bernal (voluto da Almodovar per la sua Mala Educaciòn), I diari della motocicletta potrà forse scontentare i puristi o incuriosire chi ne sa poco, ma rimane un’occasione sprecata, anche se piacevole. Per la prima metà road movie, poi educazione politico-sentimentale, si svolge per la maggior parte sui sentieri di una prevedibilità in bilico tra politically correct e accattivante naiveté. Pur se fedelmente costruito sui diari di viaggio di Guevara e Granado, i due personaggi appaiono decisamente troppo caratterizzati nell’opposizione da “strana coppia” tra il riservato idealista e l’amico estroverso e gaudente. Il tono diviene sempre più didascalico ed edificante, quanto più ci si avvicina all’ideale rivoluzionario, scandito dalle immagini in bianco e nero di contadini, bambini di strada e comunisti perseguitati, argomento che forse meritava al contrario una maggiore “sottrazione”. Salles, forse intimidito dallo scottante argomento, si limita ad illustrarlo senza sorprese ma evitando, almeno nella seconda parte, il funesto “effetto cartolina”, grazie alla fotografia di Eric Gautier (abituale collaboratore di Patrice Chereau) che è riuscito, in contrasto con la solarità iniziale, ad infondere una spettrale cupezza ai paesaggi di Cile e Perù, Vale (quasi) tutto il film il primo piano finale del vero Alberto Granado, ormai ottantenne, che senza parole guarda un aereo in volo come già cinquanta anni prima, dopo aver salutato il suo amico che torna a Buenos Aires al termine del viaggio.

[maggio 2004]

regia: Walter Salles sceneggiatura: Josè Rivera da Latinoamericana di Ernesto Che Guevara e Un gitano sedentario di Alberto Granado fotografia: Eric Gautier montaggio: Daniel Rezende musica: Gustavo Santaolalla interpreti: Gael Garcia Bernal, Rodrigo de la Serna, Mia Maestro produzione: Film Four Limited origine: Argentina, Cile, Perù, Usa 2004 distribuzione: BIM durata: 126’

Premio Vulcain de l’Artiste-Technicien al direttore della fotografia Eric Gautier Premio Ocic

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