I fiori di Kirkuk
L’operazione co-produttiva tra Italia,Svizzera e Iraq, che si è conclusa con la realizzazione del film I fiori di Kirkuk, pensiamo debba essere accolta favorevolmente per almeno due ragioni: sia perché consente alla cinematografia italiana di trarre spunto non soltanto da fatti e personaggi di carattere locale, ma anche da ciò che accade oltre confine; sia per aver portato la macchina da presa in una zona del mondo ancora martoriata da guerre e conflitti laceranti, per narrare vicende ancora poco conosciute nel nostro paese.
I fiori di Kirkuk, a cui fa riferimento il titolo, sono i fiori che crescono sul luogo in cui, negli anni ottanta del secolo scorso, hanno perso la vita migliaia di curdi, vittime di una pulizia etnica ordinata da Saddam Hussein. L’autore del film è Fariborz Kamkari, cineasta di origine curdo-iraniana che vive a Roma da diversi anni, si è ispirato ad eventi realmente accaduti, sui quali ha scritto anche un libro di prossima pubblicazione. Nelle note di regia Kamkari ha dichiarato che la sua: “è una storia di sacrificio e di dolore, di gelosie e tradimento, collegata al tema della responsabilità individuale di fronte a una tragedia di massa”.
Girato nella parte meridionale del Kurdistan iracheno, il film segue una narrazione dall’andamento circolare. Inizia nel 2003 con le note immagini televisive dell’abbattimento delle statue del dittatore iracheno e si sposta nel passato per seguire le vicende di Najla, un giovane medico iracheno che dopo aver terminato gli studi a Roma ritorna in Iraq per ritrovare il suo uomo di cui non ha avuto più notizie. Nel finale c’è un nuovo salto al presente che chiude il cerchio della narrazione, con il protagonista che tornato a Kirkuk dopo venti anni, si inginocchia sul luogo degli eccidi, dove sono stati piantati i fiori, per rendere omaggio alla donna che ha amato e alle vittime dello sterminio.
Gran parte della storia è ambientata negli anni ottanta, proprio nella zona in cui nel 1987 Alì il chimico, cugino di Saddam Hussein elaborò il cosiddetto decreto di An Anfal che prevedeva l’uso delle armi chimiche contro i civili curdi. A far da collante ad uno scenario di guerra e di violenza nei confronti di una popolazione inerme, vi è la storia d’amore di sapore scespiariano tra Najla, nipote di un industriale fedele al regime di Saddam e Sherko, giovane medico e parte attiva nel difendere la causa e l’indipendenza della popolazione curda, vittima delle persecuzioni.
A drammatizzare ancora di più la situazione vi è poi l’amore, disperato perché non corrisposto, del giovane ufficiale iracheno Mokhtar per Najla. Nel seguire la vicenda, lo spettatore viene posto di fronte ad una serie di conflitti, innescati dalle scelte obbligate dei protagonisti e derivanti dallo scontro tra la forza dei sentimenti e i doveri all’appartenenza etnica, facendosi così testimone di questioni ancora poco note delle storia recente medio orientale e, nello stesso tempo, diventando partecipe di una vicenda dal respiro sia individuale che collettivo. Ed è proprio il personaggio di Najla, figura femminile dotata di iniziativa e di autonomia decisionale a disegnare il profilo tragico del film. “Volevo raccontare una donna mediorientale che decide e sceglie la propria vita, non passiva, che non segue le regole previste per lei dalla società”- ha dichiarato il regista. Il personaggio di Najla, oltre ad essere il motore narrativo del film, colora di senso tragico l’intera vicenda, perché le sue scelte individuali e le sue azioni, guidate dal cuore e da un desiderio di giustizia, si scontrano inevitabilmente con la mentalità ristretta e maschilista dei suoi familiari. Una figura, quella di Najla che, proprio per il suo carattere coraggioso, è vittima dell’espulsione e del sacrificio da parte della sua comunità d’origine, ribaltando uno dei luoghi comuni della donna mediorientale, docile e sottomessa; e confermando al contempo uno dei motivi fondanti della tragedia classica.
Inquadrato nel panorama cinematografico dell’Italia di oggi, I fiori di Kirkuk costituisce anche un buon esempio di film civile, di quelli che riescono a dare un loro contributo al formarsi di una memoria collettiva e ci aiutano a prendere posizione di fronte ad eventi come genocidi e persecuzioni, anche quando accadono al di fuori dei nostri confini.
(Golakani Kjrkuk) Regia: Fariborz Kamkari; sceneggiatura: Fariborz Kamkari, Naseh Kamkari ; fotografia: Marco Carosi; montaggio: Marco Spoletini; musica: Orchestra di Piazza Vittorio; scenografia: Malakdjahan Khazai, Sima Yazdanfar; costumi:Malakdjahan Khazai, Simona Marra; interpreti: Morjana Alaoui (Najla), Ertem Eser (Sherko); Mohamed Zouaoui (Mokhtar); Mohamed Brakri (Sherko 20 anni dopo); Maryam Hassouni (Rim); Ashraf Hamdi ( Rasheed); Falah Fleyeh (Zio) produzione: FARout FILMS, T&C Film, OsKar ; distribuzione: Medusa; origine: Italia/Svizzera/ Iraq; durata:118’.