Iago

Apparire o non apparire: questo il dilemma! E chiedersi ad ogni passo della produzione di un film se sia meglio soffrire il peso delle ambizioni culturali che spingono verso il baratro del fiasco al botteghino o cedere all’incultura dilagante e tentare la strada del pop ad ogni costo, coi giusti divi del momento, le giuste battute piacione e quell’in più di commedia che garantisce, almeno qui in Italia, incassi ragionevoli, ma che è un patto faustiano con lo stereotipo che tutto omologa.
Morire, dormire... nulla più. E convincersi che in questo sonno della ragione che chiamiamo successo presso i (anzi le) teen agers, tra le copertine di Cioè e quelle di Teen girl, tra le ospitate dalla De Filippi e quelle da Maurizio Costanzo non ci sia altro che il lievitare dei conti in banca.
Morire, dormire; dormire, sognare forse... Forse; e qui è l’incaglio perchè può capitare che su quel Lete obliviante che separa Cultura e Spazzatura vada a specchiarsi un regista come Volfgango De Biasi. E qui casca l’asino. Finendo sul bagnato dove piove sempre a rimarcare che tutti i nodi vengono al pettine e che il pane va a chi non ha i denti. Così, presi da tripudio immaginativo finiamo per immaginarcelo, questo novello sedicente autore, come un Gollum redivivo, pronto ad iniziare una discussione tra i due lati della sua schizofrenica personalità.
Non gli piace l’incultura dilagante, al De Biasi romano che gira film per la Medusa: non ne sopporta la superficialità, non ne apprezza gli esiti più estremi. Guarda i tempi in cui vive ed un po’ se ne disgusta, ma poi gli prende quel piglio di analista che canta e commenta ad un tempo.
Pensando in termini teatrali (per uno che citava Pirandello e Shakespeare al primo film e persiste sul secondo con la sua opera più nuova) il buon Volfgango (che si porta cucito addosso pure il nome del più sommo tra gli autori di melodrammi) deve guardare a sé come ad un novello Moliere. Lui guarda, al pari dell’immenso francese, le contraddizioni del mondo circostante ed un poco se ne dispiace, ma è consapevole che la sua missione è registrare e poi mostrare. Il suo cinema, come il teatro del Goldoni, vuole essere uno specchio nel quale il mondo contemporaneo può vedere riflessa la propria immagine. E se l’Italia di oggi è tanto brutta che colpa ne ha, in fondo, Volfgango? Non è lui che l’ha forgiata, non è lui che l’ha prodotta. Lui è solo costretto a viverci dentro e a farne materia di canto e di conto.
Basta girarsi intorno per capire quanto è vero. Ovunque dilaga la corruzione. Ovunque trionfa il disegno politico che tutto corrompe e tutto riduce al più triste dei silenzi. All’università (lo vedevamo in Come tu mi vuoi) non fa certo carriera la prima della classe, ma l’oca giuliva con le gambe lunghe, i tacchi da vertigine e lo spacco della gonna che sfonda l’inguine e fa intravedere l’imbocattura dello stomaco. Anche alla biennale le cose non vanno molto meglio: il buon Iago, che tenta di uscire dal terribile passato del padre muratore e della madre casalinga, si vede soffiare, per biechi disegni utilitaristici, sia la donna che ama che il lavoro che brama. E’ appena il minimo che a cotanta offesa si incazzi ed architetti vendette degne del Machiavelli de La Mandrgola. Dall’altro lato Desdemona, dimentica delle Ave Maria che le metteva in bocca Verdi, pensa solo alla soddisfazione personale ed è pronta ad immolare il povero Iago alle più maschie attenzioni del tronista (parola del regista) Otello. Quest’ultimo è il concentrato dell’ignavia: si attribuisce il lavoro di Iago pur di continuare a vestire griffe e si atteggia a grande condottiero quando a malapena sa trovare, cartina alla mano, la sede dell’Università.
Nel mondo di oggi, ci dice Volfgango, l’immortale tragedia della gelosia non potrebbe mai finire nel sangue e nelle lacrime. Oggi come oggi trionfa l’opportunismo, la bieca manovra politica, il raggiro, la soluzione di comodo. A trionfare non è il prinicipio di ragione o il Sentimento, ma l’opportunità. Desdemona può ben mettersi con Iago se questi dimostrerà di volerla sempre con la stessa foga, pronto a giocarsi tutto pur di possedere ciò che sente di aver meritato. Diventa una Lady Macbeth senza tragedia, un’arrivista che punta in alto senza sapere bene neanche cosa c’è davvero in alto: l’importante è solo salire.
E come Desdemona è lo stesso Volfgango che abbraccia i non valori dell’incultura pur di ottenere ciò che vuole. Si accontenta, per il suo Shakespeare, di attori con una sola espressione che si litigano la scena con altri con una sola inflessione della voce. Sputa nel piatto in cui mangia additando il malcostume al quale partecipa col gaudio con cui danzano le comparse nella becera scena del ballo copiata da Luhrmann (altrove lo si chiamerebbe omaggio). Per la sua tirata sull’importanza della sostanza contro la forma si circonda di nomi (come Vaporidis e la Chiatti) che sono l’emblema della forma e non certo i campioni della sostanza. E, infine, si costruisce un film di contraddizioni che non ha nè forma, nè sostanza.
Non vuole ribaltare la prima nella seconda, come facevano i barocchi (e tra questi lo stesso Shakespeare). Punta ad altro, con la pertinacia dell’autore che rifà sempre lo stesso film perchè le idee son quelle. Coi suoi film Volfgango ci vuol raccontare un mondo in cui distinguere tra forma e sostanza è ozioso. Tanto quel che conta lo decidono altri e a noi non resta che sederci a goderci i fasti di un happy end che è tale solo perchè il protagonista bacia la protagonista.
La teen generation resta così preservata nei suoi bisogni mentre l’autore può rimarcare che quel bacio è solo il suggello di un patto faustiano con l’incultura dilagante. Reso esplicito, per di più, da una colonna sonora che non si ferma per un secondo che sia uno e da un uso infelice di un frasario falsamente shakespeariano che fa figo quando si ordina, al bar, un caffè.
Epperò in tutto questo resta aperta una domanda che l’autore si tira addosso con gioiosa incoscienza: se è vero, come afferma da due film a questa parte, che la meritocrazia non esiste e che solo i figli di papà possono aver diritto ai posti di prestigio... lui di chi è figlio per riuscire a continuare a fare film proprio in Italia?
(Iago); Regia: Volfango De Biasi; sceneggiatura: Volfango De Biasi; fotografia: Enrico Lucidi; montaggio: Stefano Chierchiè; musica: Michele Braga; interpreti: Nicolas Vaporidis, Laura Chiatti, Aurelien Gaya, Lorenzo Gleijeses, Fabio Ghidoni, Giulia Steigerwalt, Gabriele Lavia; produzione: Medusa, Ideacinema, Cattleya; distribuzione: Medusa; origine: Italia, 2009; durata: 100’
