Ici et ailleurs (DVD)

L’immagine non è più innocente da tanto tempo. Forse non lo è mai stata. Ma, da quando s’è fatta parte integrante del consumo di massa, essa è diventata qualcosa di ambiguo, malevolo, estremamente manipolabile.
L’idea che essa sia mera riproduzione fenomenologica di una Realtà preesistente è, al fondo, romantica e un po’ naif. Poteva andar bene ai tempi di Lumiere e già allora, con gli annaffiatori annaffiati, era pronta a rivolgersi contro se stessa, a dirsi altro che non quella risata benevola e un po’ stupita che strappava ad un pubblico non ancora anestetizzato.
Il consumo l’ha messa in una catena di montaggio, enorme e terribile come quella nella quale cade Chaplin in uno dei suoi capolavori più giustamente celebri. Costretta al contatto con altre immagini ha permesso che altri le imponessero un senso, le dessero un valore, la quantificassero come una merce da supermercato cui non resta altro che essere prezzata.
Quel che non si vede e ciò che, in fondo, conta di più: lo sguardo che dirige, la scelta che taglia l’inquadratura in un certo modo, la voce che dice all’attore che sta davanti alla macchina da presa come piegare il capo e come stirare meglio il velo dell’illusione che dovrebbe veicolare.
L’immagine non è innocente perché qualcuno la piega per dire altro da quello che essa stessa contiene. Essa serve un ideale, accetta di essere fatta merce (certo suo malgrado) e permette che altri le impongano uno scopo.
L’autore che crede di parlare degli altri e non si accorge di parlare prima di tutto di se stesso, lavora con addosso ancora stracci di politica. Crede di servire una realtà parlando al posto suo e non accetta che quella Realtà ha una voce sua che dice le sue cose e che non ha bisogno di un intermediario che prima di tutto, volente o nolente la tradisce.
Godard era andato in Palestina, col gruppo Dziga Vertov che avrebbe abbandonato di lì a poco, per girare un film sulla Rivoluzione del popolo palestinese. Non si accorgeva, illo tempore, di caldeggiare tanto una rivoluzione altrove perché, in fondo, non aveva il coraggio di farne una ben più necessaria qui, nel suo quando e nel suo dove. Girò gli ansiti di una rivolta armata di sassi con spirito da rivoluzionario, come uno che ha nel DNA tutto il ricordo glorioso della Rivoluzione Francese. E in quella prospettiva, senza accorgersene, mise tutto in teatro: la bambina che gridava la poesia di resistenza, con gesto magniloquente dietro quinte di ruderi e rovine, la donna incinta (attrice di se stessa) che era contenta di quel figlio che poteva donare alla causa rivoluzionaria, i soldati che si preparavano ad un’offensiva quasi disperata. Tornato a casa quel teatro lo mise su una moviola e cominciò a dargli senso al montaggio. Ma i conti gli tornavano troppo bene. Tutto era in posa per un risultato che era perfetta somma degli addendi. Del resto il piano di lavoro se l’era bello e costruito prima ancora del suo viaggio in Palestina. Sommo abominio: lo storyboard, il gruppo Dziga Vertov l’aveva disegnato senza aver mai incontrato quella gente che chiedeva solo di parlare. E le immagini che aveva ripreso, Godard, le sentiva false. Erano tali perché erano precostituite, stantie, datate prima ancora di essere girate. In fondo fasciste, perché c’è sempre fascismo quando si tappa la bocca alle immagini e ci si impone sopra la propria voce.
Così Godard, quasi quattro anni dopo aver girato Victoire (questo doveva essere il titolo del documentario), riprende in mano il materiale, affiancato da Anne-Marie Mevielle, compagna di vita e di lavoro, e comincia a mettere in scena se stesso mentre mette in scena. Si dichiara, mette al centro del discorso il suo stesso sguardo.
Se uno sguardo deve esserci per forza dietro alla messa in scena di un film, urla il regista, che almeno si dica, sia evidente, cristallino. Il vero artista rivoluzionario non è quello che si nasconde dietro gli altri convinto di dire solo fatti, ma quello che parla di se stesso per raggiungere gli altri. Non è quello che scopre una verità di fatto preconfezionata, ma quello che scopre mentre dice, che filma mentre pensa, che racconta ciò che filma e ciò che pensa.
Suo obiettivo è restituire all’immagine la sua parola, privarla dalle incrostazioni dell’ideologia e lasciare che parli di per sé e che parli anche di sé. Mai gesto registico fu più radicale, mai abiura di quanto fatto fu così apportatrice di senso. Il regista svizzero aveva scoperto la summa del documentario politico: pensiero fatto Cinema. Per farlo era necessario scomporre tutte le formule di linguaggio e farle oggetto di riflessione. Partire dai limiti del cinema (la linearità che non ammette contemporaneità e, quindi, rinuncia alla complessità; la riduzione dello Spazio a Tempo; l’eccesso di usura dell’immaginario contemporaneo) per rivendicarne, teoricamente, le ulteriori possibilità di discorso.
Godard compone un pamphlet che parlando di linguaggio parla anche della situazione palestinese perché non si può parlare di qualcosa se non si ha chiaro cosa sia parlare e non si può essere spietatamente oggettivi se non si parte da dentro i bisogni che ci muovono a parlare e se non si capisce che anche la lontana Palestina fa parte di noi, è un problema che ci tocca da vicino. Ici et alloirs è, forse, il film che meglio ha riflettuto sulla situazione palestinese dopo il settembre nero, di cui si porta impressi i lutti come stimmate di celluloide (anche se il video è il suo mezzo d’espressione). Meno pregnante, forse, il successivo Comment ça va? che rilancia le stesse preoccupazione nel terreno di un film che mette al centro anche la responsabilità dei media e dei giornali.
Ma il monito godardiano secondo cui bisogna restituire all’immagine la sua voce più vera per opporsi al profluvio di suoni a tutto volume che ci propina il sistema capitalistico ci pare ancora oggi di un’attualità sconcertante.
La qualità audio-video
Molto buona la qualità dell’immagine di questo lodevolissimo DVD proposto dalla sempre eccellente Ripley Home video. Il formato 4/3 è connaturato alla natura video di queste prime esperienze del regista svizzero con le telecamere della Sony.
Audio filologico con la sola opzione francese con sottotitoli per due film che a stento possono essere tradotti in altra lingua stanti i continui giochi di rifrazioni semantiche che Godard impone sempre alle sue parole. Le tracce sono chiare e pulite.
Extra
I due film sono, in fondo, l’uno l’extra dell’altro. Ma il DVD è anche corredato dalle bellissime note di Federico Rossin che molto dicono sulla genesi di questi due capolavori.
(Ici et ailleurs / Comment Ça va?); Regia: Jean-Luc Godard; interpreti: Jean-Luc Godard, Anne-Marie Mevielle; distribuzione dvd: Ripley Home Video;
formato video: Formato schermo Full Screen; audio: francese (Digital 2.0); sottotitoli: italiano;
Extra: 1) Film: Comment Ça va?
