Il bilancio della Festa del Cinema di Roma 2015
Si è appena conclusa la decima edizione della Festa del cinema di Roma, la prima sotto la direzione di Antonio Monda, ma non si sono ancora del tutto sopite le scintille finali. Se infatti è abbastanza manifesto l’unanime riscontro positivo sulla qualità dei film (Monda con una non velata punta di orgoglio faceva notare che anche il Fatto Quotidiano, di solito poco clemente verso la Festa, ha parlato di ottimi titoli della selezione), le critiche questa volta si sono spostate sul Red Carpet e sulla mancanza delle star che dieci anni prima attiravano migliaia di persone e che non si sono viste in questa edizione. “Perché non c’era Cate Blanchett, visto che si è parlato di una partnership con il London Film Festival, dove l’attrice protagonista di Truth era presente per l’apertura?” E poi, “ha senso spendere quattro milioni di euro (su un budget totale di dieci della Fondazione Cinema per Roma) per vedere sì dei bei film ma che non sono prime mondiali e che non vengono accompagnate dalle star?” Domande che sono state poste alla direzione della Festa durante la conferenza stampa finale e che ancora continuano ad avere una coda sui social network di chi ha partecipato e assistito da attore o spettatore alla appena conclusa manifestazione capitolina. Duplice è stata la risposta ai quesiti sollevati, una è arrivata attraverso un punto di vista quantitativo e l’altra invece qualitativo. La prima l’ha fornita il direttore generale Lucio Argano, che con compito notarile ha diffuso i numeri della manifestazione che ha segnato un declino del 20% di presenze e di incassi rispetto alla passata edizione scontando però un giorno in meno di programmazione e la mancanza della sala Santa Cecilia, che in parole povere significa partire con un handicap di 13.000 posti disponibili in meno rispetto all’anno scorso. Un dato che significa tutto e niente e per cui c’è chi vede il bicchiere mezzo vuoto e chi naturalmente lo vede mezzo pieno come Monda che, facendo i conti totali, ha parlato di una perdita totale di 9.000 spettatori rispetto all’anno prima, per cui scontando l’handicap iniziale dei 13.000 si tramuta in un aumento di 4000 spettatori finali. Ma a noi non interessa entrare più di tanto nei numeri, anche perché la matematica in questi casi è sempre un’opinione, ma interessa spostarci sul piano qualitativo, dove Monda ha tenuto a rimarcare le sue scelte, dovute ad una esclusiva ricerca di merito, motivo per cui ha dovuto respingere due film con tanto di cast spettacolare (un divo australiano, uno americano e una messicana) che gli veniva offerto nel pacchetto, offerta che ha declinato perché le opere in questione erano a suo dire brutte. “Più qualità e meno passerelle” è stato questo il leitmotiv che il direttore artistico, ha ripetuto in più di una occasione, anche se ha tenuto sempre aperta una porticina per migliorare le cose che hanno funzionato meno e che vorrà limare per il suo percorso triennale. Così allo stesso modo, Monda resta fedele alla sua linea confermando che nemmeno nei prossimi anni saranno introdotti premi, né ci saranno sezioni in concorso ma, sulla stessa falsariga del New York Film Festival a cui si ispira chiaramente, la Festa deve restare una vetrina dove poter assistere alle proiezioni dei migliori film provenienti da ogni parte del mondo. Altro motivo di soddisfazione è infatti stato l’annuncio di aver proiettato 53 film da ben 24 Paesi differenti, mentre negli altri anni non succedeva assolutamente (elogio della multiculturalità o stoccatina alla direzione precedente?). Infine gli incontri, dove è stato ammesso che qualcosa ancora da ridefinire c’è, come il mancato spazio per le domande del pubblico, e dove non è stata esclusa la possibilità di riproporre in futuro i duetti Monda-Sesti a cui abbiamo già assistito negli anni passati. Un bilancio che tutto sommato sintetizza quello che è stata questa Festa e che dovrebbe essere trampolino di lancio per qualche nuova sperimentazione per il futuro. Futuro in cui il condizionale sarà sempre d’obbligo, visto che come tutti hanno sottolineato in questi anni le sorti della Festa/Festival sono state conseguenze più della impazzita politica romana che figlie di un progetto e di una programmazione a lungo termine.
Bilanci a parte, restano da comunicare i vincitori dei pochi premi assegnati dalla Festa. Perché, se è vero che, esclusa la sezione Alice nella città, il palmares e i concorsi sono stati aboliti, è rimasto invece il premio del pubblico, assegnato e comunicato il giorno dopo, a festival concluso, e che è andato al film Angry Indian Goddesses del regista indiano Pan Nalin. Per quanto riguarda invece Alice nella città, il premio per il miglior film in concorso va a Four Kings, opera prima della regista tedesca Theresa Von Eltz, il premio Taodue Camera d’Oro per la miglior opera prima va a The Wolfpack di Crystal Moselle, mentre Mustang della regista turca Deniz Gamze Erguven ha ricevuto la Menzione Speciale.