Il Caso Thomas Crawford

Una sfera di vetro scivola rapidamente lungo i binari di metallo di uno strano marchingegno, seguendo ubbidiente le traiettorie per lei previste dall’uomo che l’ha intrappolata in quel gioco. Questo finchè, per una curva troppo stretta o una pendenza troppo accentuata, non viene proiettata al di fuori del suo percorso. Il demiurgo si avvicina con calma alla sua creazione, individua il punto esatto del difetto e lo corregge con un’accurata pressione della mano, per poi riavviare la biglia all’interno di un moto pressoché perpetuo, di un congegno pressoché perfetto. Quel “pressoché” può essere solo ridotto ai minimi termini, ma non potrà mai essere eliminato, e Thomas Crawford lo sa bene: in ogni manufatto, in ogni macchinazione, in ogni individuo è presente un punto di rottura che, se localizzato e attaccato, lo fa crollare in pezzi. Il titolo originale, ovvero Fracture, sottolinea chiaramente il concetto attorno a quale è costruita la sceneggiatura del film. C’è però da dire che l’idea dei distributori italiani di inserire il nome del villain all’interno del titolo non è del tutto peregrina, poiché in effetti la narrazione risulta come avvolta nell’aura carismatica del personaggio interpretato da Hopkins, avvertita anche nei lunghi momenti in cui non è presente sullo schermo.
Il talento di Crawford risiede nella metodica capacità di perseguire la perfezione: il suo lavoro consiste nel localizzare e correggere i difetti strutturali degli aerei in costruzione e per hobby costruisce complicati labirinti in cui esercita il proprio controllo sulle forze della fisica (in realtà si tratta di “sculture cinetiche” ad opera dell’artista olandese Mark Bischof). Grazie a questo talento si è costruito un piccolo paradiso fatto di una reggia in un quartiere residenziale di Los Angeles, macchine di lusso e una moglie bellissima e molto più giovane di lui. La scoperta che quest’ultima lo tradisce con un poliziotto rivela l’immancabile pecca nel suo disegno di esistenza perfetta e per correggerla l’uomo ha nessuna esitazione nello sparare alla consorte, riducendola in fin di vita. Il caso di tentato omicidio viene assegnato al giovane e rampante avvocato Willy Beachum, in procinto di abbandonare l’ufficio del procuratore distrettuale per entrare nella scuderia di un prestigioso studio privato. Forte di una confessione firmata e di prove schiaccianti a carico dell’imputato, il giovane pensa di sbrigare facilmente la pratica per dedicarsi al nuovo eccitante incarico. Presto però tutti gli elementi in gioco volgeranno a suo sfavore, seguendo ubbidienti le traiettorie abilmente architettate da Crawford, che sembra aver localizzato uno dei punti di rottura nel sistema giudiziario.
Mettendoci subito di fronte ad un colpevole conclamato al di fuori di ogni dubbio, il film si configura immediatamente come un anomalo thriller spogliato da misteri. Quella che sembra essere un narrazione operata attraverso l’espediente del livello di focalizzazione zero (ovvero l’onniscienza dell’istanza narrante) omette però in effetti di rivelare allo spettatore un dettaglio fondamentale dell’impalcatura del delitto, costringendolo ad arrovellarsi fino alla fine insieme all’avvocato Beachum su come fare a provocarne il crollo. Ma l’innesco della dinamica di un colpo di scena neanche troppo difficile da prevedere sembra interessare solo relativamente ad Hoblit ed agli sceneggiatori, che investono con successo le proprie energie sulla costruzione del duello psicologico e di astuzia tra i due protagonisti, due personalità vincenti e spericolate nell’incondizionata fiducia nelle proprie capacità. In particolare, come detto, a dominare la scena è il freddo e inquietante assassino impersonato da Hopkins, come sempre magistrale nel conferirgli una beffarda e fastidiosa simpatia. Da parte sua Gosling fornisce al suo avvocato la giusta faccia da schiaffi di chi si sente arrivato ancora prima di partire. Teatro dello scontro è una Los Angeles dei piani alti che la fotografia di Morgenthau avvolge nelle ombre ocra di un crepuscolo denso e patinato, e che viene ripresa con mestiere dai vorticosi carrelli di Hoblit. Ciò che gira intorno ai due contendenti ha il ruolo di semplice complemento più o meno funzionale ad amplificare l’enfasi del confronto (un po’ maldestra e posticcia la fulminea storia d’amore tra Beachum e il suo nuovo principale, ovvero la bella avvocatessa Garner). Nel complesso è però difficile chiedere molto di più ad un thriller giudiziario confezionato con intelligenza ed una certa originalità.
(Fracture); Regia: Gregory Hoblit; soggetto: Daniel Pyne; sceneggiatura: Glenn Gers, Daniel Pyne; fotografia: Kramer Morgenthau; montaggio: David Rosenbloom; musiche: Jeff Danna, Mycheal Danna; scenografia: Paul Eads; costumi: Elisabetta Beraldo; interpreti: Anthony Hopkins (Thomas Crawford), Ryan Gosling (Willy Beachum), Billy Burke (Detective Bob Nunnally), Rosamund Pyke (Nikki Gardner), David Strathairn (Joe Lobruto), Embeth Davidtz (Jennifer Crawford), Cliff Curtis (Detective Flores), Bob Gunton (Giudice Garner); produzione: New Line Cinema; distribuzione: Eagle Pictures; origine: USA 2007; durata: 113’; web info: sito ufficiale
