Il classico in chiave dub inizia da qui, da alcuni frammenti musicali dei New York Ska-Jazz Ensemble

C’è un tempo in cui tutto comincia, e molte volte a sfuggire è proprio quel tempo in cui tutto ha inizio e in cui tutto comincia. E c’è un tempo che addirittura è alla sua terza era di esecuzione. Lo ska-jazz - dubbed - nella sua migliore presentazione da un gruppo di musicisti newyorkesi: New York Ska-Jazz Ensemble.
Le forme classiche della canzone si aprono, si lasciano trascinare da una serie di looping di basso, di tastierine da organetto, da qualche fiato: un sussurro nella notte del ritmo, nel futuro del battito, rallentato, metodico, preciso, quasi paranoico. Canzoni che si conoscono e che camminano lente sul palco e che dal palco scendono e salgono allo stesso tempo in un’altalena di passi da danza esotica quasi estatica in uno slime di suoni eponimi e fattuali.
Lo ska è probabilmente tra le danze bianche contempooranee quella più caratteristica, delle danze tradizionali la versione elettrica, e proprio per questo stesso motivo rifilato, a parte qualche grande successo di genere, nei luoghi meno conosciuti della fruizione musicale di origine pop-folk contemporaneo (rock and roll e derivati non abitano le stesse arene dello ska).
In linea di massima nel ventaglio dei ritmi contemporanei, lo ska ha perciò un posto subordinato, lo si può pure chiamare di culto; ma un gruppo di musicisti ska, pur ecclatanti che possano esere le loro doti tecniche, non avrà quasi mai lo stesso seguito di un gruppo, per così dire omologo, ma che suona un ritmo base di tipo rock and roll.
Può succedere allora che ci si trovi una sera d’inverno davanti a dei musicisti che suonano quel genere poco contento di musica che si nasconde ancora oggi tra le nebbie della movida musicale mainstream, e di scoprire che tutto alla fine ha un inizio ben preciso.
E prima della metà degli anni novanta, quando Ronny Jordan cominciava solo a sperimentare alcumi di quegli strati di decompressione melodica sul jazz, spruzzandgli addosso un po’ di quei tocchi di surf e di quelle echoes di chitarra e di quelle pompe di ritmo di prog che la musica jazz andava lentamente perdendo in un tunnel di minimalismo votato alla sua scomparsa, alla sua trasfigurazione in anima del suono più che altro, e più o meno nello stesso momento in cui gli US3 voltavano in digitale alcune delle melodie più interessanti delle correnti di jazz più variegate montando collage spigolosi di ritmo e melodia ovattati da un’aurea spirituale quasi messianica, jazz originario nella sua essenza, Rocksteady Freddie (Fred Reiter, leader, voce e sassofono dei NYSJE; con Lou Reed, Joe Jackson e Kevin Eubanks, tra le altre collaborazioni) pensava a come far rinascere il ritmo ska, la sua controversa anima musicale, e a come cucirgli addosso tutta una serie di amalgame sonore che dallo ska e con lo ska sono scivolate via e hanno coperto di storia molte altre correnti musicali: il dub, il reggae, rockabilly, l’hillbilly originario profano, il tempo largo dell’ottocento.
Si va però per una strada chiaramente molto lontana da Jah Wabble, dai P.I.L, Johnny Rotten, dai M|A|R|R|S| (4AD) - Colourbox, Eric B & Rakim, Public Enemy, potendo finanche toccare i primi lavori dei Primal Scream nell’ovatta dance dub caratteristica - e da alcuni dei classici dub-reggae della Greensleeves di Londra, se non altro per via del fatto che qui, come sicuramente anche altrove, la musica viene suonata e non girata sui dischi o campionata (sono solo due cose diverse).
Lo ska è una festa. Molte volte scatenata, molte altre solo cadenzata, ma rimane solo una festa musicale, un ballo. Nei suoi momenti più rallentati, effettati e tecnici, si allunga verso il dub strumentale e il reggae meno audace e più sinuoso. Il produttore di uno dei lavori del NYSJE è lo stesso degli Easy Star All Stars, quelli di The Dub Side Of The Moon. La storia comincia con la versione jazz-dubbed di Take Five eseguita con piacere dal vivo e spesso dal New York Ska Jazz Ensemble (del 2009 una versione della celebre Bohemian Rhapsody del solo Fred Reiter). E se non comincia da lì, in quel momento ha la sua legittimazione, rimandando tutto il discorso all’ascolto di un disco del ’95: New York Ska Jazz Ensemble, della band omonima, ricercando nei lavori successivi, non tutte, ma almeno un paio delle cose fin qui osservate (New York Ska Jazz, Live Club, Milano, 23 dicembre 2011).
