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Il club degli imperatori

Pubblicato il 16 ottobre 2003 da Marina Delvecchio


Il club degli imperatori

Ci sono fondamentalmente due filoni all’interno del genere cinematografico della high school story, impegnato a narrare storie di insegnanti e studenti chiusi in universi a parte tra le mura degli esclusivi licei privati, in genere inglesi e americani. Il primo, più anarchico, orientato a sovvertire il genere nella forma e nei contenuti, inizia con Zero in Condotta (1933) di Jean Vigo, passa attraverso episodi come il più noto L’attimo Fuggente ( 1987) di Peter Weir e potrebbe includere, volendo allargare la prospettiva, anche il recente Elephant (2003) di Gus Van Sant, in queste settimane nelle sale. Esiste poi un filone che affonda le sue radici nella sophisticated comedy di lubitschiana memoria di Addio Mr Chips (1939) e arriva fino a quest’ultimo Il Club degli Imperatori di Michael Hoffman. Si tratta della vicenda di un professore di storia nell’America del 1972 - interpretato dall’eccellente Kevin Kline, un attore sempre più maturo e convincente - attraversato da profondi valori morali e convinto di poter insegnare ai suoi studenti, future punte di diamante della classe dirigente americana, a mettere in pratica i principi etici della sua materia. L’arrivo di uno studente ribelle, cinico e privo di scrupoli farà vacillare l’olimpo di ideali di Hundert (Kline) costringendolo ad affinare i suoi metodi ma anche a riaffermare con convinzione ancora maggiore la profonda necessità di un’etica alla base dell’educazione e della politica. La società ci abitua a vedere persone che conquistano il successo senza alcuna etica., ha commentato Kevin Kline, e in effetti la cosa più interessante del film è proprio la riflessione sul rapporto tra educazione, moralità e successo. Nonostante Kline, a cui si deve tra l’altro l’idea originale di una riduzione cinematografica del racconto di Ethan Canin, il film nel complesso risulta un po’ troppo venato di retorica nei contenuti e nella forma. L’esaltazione dei valori classici della società americana è manichea e poco credibile, e la stessa forma del film, estremamente tradizionale, non aggiunge molto al genere cinematografico in sé. Alcune scene citano esplicitamente L’Attimo Fuggente, ma senza l’enigmatica poesia e il mistero che sottende i piani di Weir. Ma l’impianto del film, in fondo, è chiaro fin dall’inizio, quando Hundert, a differenza del Keating di Dead Poets Society, invita i suoi studenti a seguire il sentiero tracciato piuttosto che a cercarne uno nuovo. Si salva il ritratto della figura dell’insegnante, assai simile a quella di Addio Mr Chips, la cui vita si fonde nelle vite degli uomini che forma, e non scompare nell’anonimato grazie a ciò che lascia loro.

[ottobre 2003]

regia: Michael Hoffman sceneggiatura: Neil Tolkin montaggio: Harvey Rosenstock fotografia: Lajos Koltai musica: James Newton Howard interpreti: Kevin Kline, Emile Hirsch, Embeth Davidtzproduzione: Andrew Karsch, Marc Abraham origine: USA 2003 durata: 110’ web info: www.theemperorsclub.com

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