Il colpevole - The Guilty
C’è voluto più di un anno, da quando, nel gennaio del 2018, venne presentato a Sundance ottenendo il premio del pubblico, ma finalmente il film danese Den skyldige, titolo italiano Il colpevole –The Guilty dell’esordiente Gustav Möller è arrivato anche in Italia, dopo esser stato visto a decine di festival, fra i quali Torino nel novembre scorso (dove ha raccolto almeno quattro premi, tra gli altri, giustamente, quello per la miglior sceneggiatura). Lo ha distribuito la BIM, sia consentito esprimere qualche riserva sulla versione con sottotitoli perché tutti i toponimi e i nomi di persona con la “ø” o la “æ” adesso presentano una “háček” (“č”) col risultato che la Danimarca sembra la Croazia o la Serbia. Ma a parte questi dettagli, bisogna essere grati a Valerio De Paolis per aver portato in Italia un film di qualità, con eccellenti doti di scrittura e di recitazione, prova ne sia che Jakob Cedergren, l’attore che tiene sulle proprie spalle da solo l’intero film è stato nominato, ancora nel 2018, come miglior attore agli European Film Awards, risultando sconfitto soltanto da Marcello Fonte. Cedergren interpreta la parte di un poliziotto, Asger, in attesa di giudizio (ha commesso un omicidio, il processo presto deciderà se sia stata legittima difesa oppure no), per l’indomani sono attese testimonianze decisive e, a seguire, la sentenza. Nelle more del dibattimento i suoi superiori lo hanno tolto dal servizio di pattuglia, lo hanno tolto dalla strada, assegnandogli una posizione in ufficio al servizio di emergenza, il 112. A pochi minuti dalla fine del turno - in mezzo a segnalazioni di routine, nelle quali tuttavia torna martellante quella che non solo in questo film è con tutta evidenza una piaga danese, ossia l’alcolismo – si verifica la telefonata intorno a cui ruota tutto il plot: una donna che si chiama Iben telefona dicendo di esser stata sequestrata dall’ex marito, peraltro con precedenti alle spalle. Impossibilitato per le ragioni suddette ad agire in prima persona, Asger coordina, coinvolgendo la centrale di polizia di Nordsjælland, poi anche un collega, interagendo anche con Mathilde, la figlia maggiore della coppia, l’azione di salvataggio di Iben. Si capisce quasi subito che Asger ha tremendamente bisogno che questa vicenda giunga a buon fine, venga coronata dal successo, che l’autostima del poliziotto è da un bel po’ finita sotto le scarpe. Ne risulta un thriller per così dire in contumacia – non certo il primo che si svolge al telefono: da Il terrore corre sul filo fino a Locke - dal ritmo incalzante, in cui oltre alla sceneggiatura e all’interpretazione dell’attore la fa da padrone il sound design, perché l’intera vicenda viene veicolata solamente attraverso le innumerevoli conversazioni telefoniche del protagonista, attraverso il frenetico e incessante coordinamento del protagonista, condito di alcuni colpi di scena che non è ovviamente possibile rivelare. Sul piano squisitamente cinematografico il film è un’autentica sfida perché rispetta in modo rigido le tre unità aristoteliche, in particolare quella di luogo che rischierebbe di produrre un’angustia claustrofobica, visto che tutta la vicenda si svolge fra due stanze attigue del call center, se non fosse che il regista inquadra il personaggio da tutti i possibili punti di vista: di fronte, di spalle, in primo piano, in primissimo piano, la fronte, i capelli, il viso, le mani, se non fosse che l’operatore muove continuamente la macchina da presa, se non fosse che non c’è un momento di tregua nello svolgimento del plot. Il film è una riuscita allegoria sull’atto del vedere e sulla sua sottrazione: lo spettatore è posto nella medesima condizione del protagonista, vorrebbe vedere quel che accade, capirne di più, uscire da quella stanza, essere testimone del salvataggio della protagonista, ma il regista gli sottrae la visione, ponendolo nella stessa situazione di detective in tempo reale, di ansioso decifratore di segnali acustici in cui si trova il protagonista. Ma forse l’aspetto più convincente del film è quando, verso la fine, il thriller, il poliziesco si trasforma in apologo morale sulla colpa, uno pensa subito a Dürrenmatt, ma trovandoci in Danimarca (in Scandinavia) vengono in mente tutti ma proprio tutti: Kierkegaard, Dreyer, von Trier e anche Bergman. Sono passati 85 minuti, ma l’indomani – di questo siamo certi - Asger affronterà il processo che lo vede coinvolto in modo totalmente diverso.
(Den skyldige); Regia: Gustav Möller sceneggiatura: Gustav Möller, Emil Nygaard Albertsen; fotografia: Jasper Spanning; montaggio: Carla Luffe Heintzelmann; sound design:Philip Nicolai Flindt interpreti: Jakob Cedergren (Asger) produzione: Nordisk Film Spring Productionorigine: Danimarca 2018; durata: 85’.