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Il concerto

Pubblicato il 5 febbraio 2010 da Antonio Valerio Spera


Il concerto

In Crimini e Misfatti, Woody Allen definiva la commedia “tragedia più tempo”, tenendo a sottolineare che a distanza di anni si può e si deve ridere dei dolori passati e che il genere comico nasce il più delle volte da un intento sdrammatizzante. Questo concetto rappresenta anche il nucleo della poetica di Radu Mihaileanu, regista che nel ’98 ci ha commosso con Train de vie. Se infatti con quell’opera l’autore aveva emozionato il pubblico internazionale creando un ritratto dell’Olocausto grottesco ed intriso di ironia, con Il concerto, presentato Fuori Concorso al Festival di Roma 2009, ci propone un racconto altrettanto divertente e movimentato che riflette, oltre che sul potere emotivo dell’arte, sulle conseguenze storiche ed umane del governo sovietico di Breznev. Entrambi i film mettono in scena la libertà e la necessità di sognare, ma se nel finale di Train de vie questa libertà veniva inevitabilmente soffocata dal filo spinato di recinzione di un campo di concentramento, quest’ultima opera invece apre le ali della speranza. Speranza in questo caso rappresentata dalla musica.

Andrei Filipov, ex direttore della famosa orchestra del Bolchoi, licenziato all’epoca di Breznev perché rifiutatosi di separarsi dai suoi musicisti ebrei, lavora come uomo delle pulizie nel teatro in cui trent’anni prima riceveva gli applausi del pubblico. Una sera, però, arriva l’occasione del riscatto. Trova infatti un fax indirizzato alla direzione del Bolchoi che invita l’orchestra a suonare a Parigi. Andrei non perde tempo e tenta di rimettere insieme i suoi musicisti di un tempo per poi spacciarsi per l’orchestra del Bolchoi.

Sin dalla prima sequenza la musica è la vera protagonista. Mihaileanu non solo la lascia sprigionare in una tutta la sua bellezza e con tutta la sua forza, ma riesce a plasmare in immagini la sua concretezza ritmica, la poesia delle sue note, la passione dei suoi esecutori e le emozioni dei ascoltatori. Attraverso un montaggio che segue la cadenza e la varietà strumentale della musica, il regista si sofferma sui movimenti delle dita dei musicisti, sulle impercettibili vibrazioni delle corde dei violini, sui tasti del pianoforte, sui movimenti delle mani del direttore, per poi ricondurre tutta questa magia in totali che mostrano la collettività, il gruppo, l’unione dell’orchestra, la quale diventa metafora politica del comunismo (lo dice lo stesso protagonista) e simbolo di armonia.
Nella sequenza finale, quella del concerto che dà il titolo al film, quest’armonia invade lo schermo. In una sinfonia audiovisiva, si confondono note, sentimenti, lacrime, rimpianti, riscatto, passato, futuro, sogni. L’esibizione dell’orchestra di Andrei Filipov non è solo “l’esibizione di una vita” ma diventa l’esibizione stessa della vita, con lo scorrere in immagini dei ricordi, dei dolori passati, delle soddisfazioni tanto sperate ed alla fine ottenute, degli affetti ritrovati, dei legami mai interrotti nonostante le tante difficoltà.
In mezzo, tra prologo ed epilogo, assistiamo ad una commedia a tratti esilarante, dai dialoghi taglienti, con continui cambi di ritmo. Una facciata quest’ultima che però viene costantemente oltrepassata da Mihaileanu. Il regista non si limita a confezionare un prodotto divertente e frizzante, ma costella l’opera di sottotesti politici, sociali, storici, metartistici. Pensiamo ai discorsi sul comunismo, alla potente rappresentazione satirica della cultura ebraica, ai frequenti riferimenti al governo di Breznev, ai netti cambiamenti socio-economici avvenuti in Russia, così come in tutta Europa, dopo la caduta del muro (grandiosa la battuta del russo al parigino “Niente concerto? Niente oleodotti!”), al confronto/scontro tra i diversi approcci all’arte dei sovietici e dei francesi, reso sullo schermo anche da un evidente contrasto cromatico.
Il concerto sfodera un’ironia delicata, vive di poesia. Fa ridere, riflettere, piangere. Tocca i cieli del grande cinema ed arriva dritto al cuore. Un film da vedere e rivedere, che segna il ritorno di Mihaileanu sulle tonalità di Train de vie dopo che, con Vai e vivrai, sembrava aver intrapreso una strada differente.

Guarda l’intervista video a Mihaileanu nella puntata della Close-Up TV


CAST & CREDITS

(Le Concert) Regia: Radu Mihaileanu; sceneggiatura: Radu Mihaileanu in collaborazione con Alan Michel Blanc, Matthew Robbins; soggetto: Hector Cabello Reyes, Thierry Degrandi;fotografia: Laurent Dailland; montaggio: Ludovic Troch; costumi: Viorica Petrovici; interpreti: Alexei Guskov (Andrei Filipov), Dmitry Nazarov (Sacha), Melanie Laurent (Anne-Marie Jacquet), Francois Berleand (Olivier Morne Duplessis); produzione: Oï Oï Oï Productions – Les Productions du Tresor – France 3 Cinema – Europacorp – Castel Films – Panache Productions – RTBF – BIM Distribuzione; distribuzione: BIM; origine: Francia, Russia; durata: 120’.


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