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Il debito

Pubblicato il 17 settembre 2011 da Alessandro Izzi
VOTO:


Il debito

Il debito è un film diviso tra passato e futuro.
Il presente, nelle sue contraddizioni, non ha diritto di cittadinanza in questo mondo lacerato dai dubbi. Quel poco che esiste, tra un battito di ciglia e l’altro, è menzogna, infingimento, maschera.
Un mondo di attori in cui tutto ha la stessa sostanza degli incubi che, vestiti di nero, vengono a presentare un conto salato per ciò che si è stati e ciò che non si è diventati.
Tre agenti del Mossad sono incaricati da arrestare e condurre fuori dei confini della Germania dell’Est un terribile criminale nazista, meglio noto come il chirurgo di Birkenau, che aveva compiuto terribili esperimenti sugli ebrei ad un passo dallo sterminio. Certi del loro mandato, gli agenti commettono, però, strada facendo, una serie di errori grossolani che permettono la fuga del mostro. Decisi a non tornare in Israele a mani vuote, i tre decidono per la menzogna: fingono che l’uomo sia morto nel suo tentativo di fuga, ed accettano di essere accolti in patria come eroi. Tanti anni dopo, però, un sedicente Chirurgo di Birkenau fa la sua comparsa in Ucraina.

Le bugie puntellano il fitto intreccio di flash-back di una pellicola più in cerca della tensione viscerale che dell’etica della rappresentazione. Il debito è tutto qui: in queste bugie grandi e piccole che sono preludio e conseguenza di quella più grande con cui i tre agenti si presentano al mondo come eroi. Non detti di un rapporto che cavalca la finzione delle spie che sono sempre altro da quel vuoto che ne atterrisce le coscienze. In tutta la prima parte del film, quella ambientata nel passato dell’arresto e della fuga del criminale nazista, si rincorrono piccole mostruosità a fronteggiarne una più grande, più terribile. Per combattere il nemico, il piccolo uomo comune deve ricorrere ai suoi stessi mezzi, farsi mostro a sua volta. Imparare l’arte della finzione e la lucidità dell’aguzzino che, come un ragno, tesse la sua tela in attesa della mosca. Ma farsi mostro equivale a farsi specchio nel quale l’orrore può assumere le forme della nostra fragilità. Così i tre agenti vedono nel chirurgo di Birkenau, l’immagine del loro passato non elaborato. In questo modo la iato che lacera la coscienza dei protagonisti del film si impantana nelle ragioni della psicologia senza porsi mai il problema di passare sino in fondo nel tunnel della politica. Così non siamo mai posti di fronte al dilemma etico del confine tra ricerca di giustizia e mera vendetta. Esso è dato per scontato, chiuso oltre i confini della narrazione, a distanza di sicurezza dai dubbi dello spettatore. Assume appena la forma di una cicatrice, quella che il mostro stampa sul volto di Rachel, che è segno tangibile di un passato impossibile da elaborare. Al tempo stesso quello dei campi di concentramento e quello della menzogna raccontata al mondo.

La cicatrice di Rachel sta a marchio di un’impossibilità di riconciliazione con se stessa: madre non certo modello per una figlia che la idolatra per le ragioni sbagliate. John Madden ce la racconta, ma non ne capisce la portata. Allo stesso modo intreccia passato e presente, ma per ricerca di dramma, non certo per esigenze di poesia. Sicché non si capisce il bisogno delle ellissi nella parte contemporanea della pellicola, assai meno serrata nonostante sia affollata di attori notevolmente più incisivi persino tra le comparse.
Sicché passa quasi in secondo piano il fatto che la donna paghi il debito cambiando la posta in palio. Nel passato giurava di aver pensato solo alla madre, nel presente agisce per amore della figlia. È in questo cambio di direzione dal passato al futuro che si rintraccia l’utopia richiesta ad Israele dallo stesso Hahov di cui questo film è pallido remake. Il regista americano lascia invece la metafora si chiuda nella sola coscienza della donna. La Shoah diventa in questo sfondo accessorio ad una storia che potresti raccontare ambientandola pure ai tempi dell’antica Roma. Ed è questo il delitto più grande di un film che avrebbe potuto essere tutt’altro.


CAST & CREDITS

(The debt); Regia: John Madden; sceneggiatura: Matthew Vaughn, Jane Goldman, Peter Straughan; fotografia: Ben Davis; montaggio: Alexander Berner; musica: Thomas Newman; interpreti: Helen Mirren, Ciarán Hinds, Jessica Chastain, Marton Csokas, Sam Worthington, Tom Wilkinson, Jesper Christensen, Romi Aboulafia, Nitzan Sharron, Jonathan Uziel; produzione: Marv Films, Pioneer Pictures; distribuzione: Universal Pictures; origine: USA, 2010; durata: 114’


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