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Il fascino indiscreto dell’amore

Pubblicato il 28 maggio 2015 da Alessandro Izzi
VOTO:


Il fascino indiscreto dell'amore

Amélie è nata in Giappone. Per caso. O, almeno, così dice a chi glielo chiede.
Ci ha poi vissuto per cinque anni: in tempo per imparare un paio di filastrocche e qualche parola di uso più immediato.
Poi si è trasferita in Belgio, da dove, in fondo, venivano i suoi genitori, ma si è sempre portata appresso l’idea del Giappone come un rimpianto, come una casa a cui tornare.
Rinri, da parte sua, è un ragazzo giapponese della Tokyo nuova. Quella tecnologica che guarda con inesausta ammirazione la praticità estrema del mondo occidentale e le sue derive capitalistiche. È un ragazzo semplice, un ventenne abbastanza ricco e sufficientemente istruito da pensare al mondo senza avere quelle spalle appesantite da una cultura che si guarda indietro, ai tempi eroici dei samurai e delle geishe. Ama i film di Yakuza, conosce i locali più “in”, ma sa inoltrarsi nei vicoli della notte di un mito sempre più confuso tra modernità e un senso di tradizione che si sfilaccia in cerca di mille identità.
Più di tutto ama la Francia e tutto ciò che è francese o che parla la lingua di Moliere. La ama a tal punto che è entrato a far parte di una società segreta di “Pazzi per la Francia”, un gruppo di giovani che si riuniscono sotto la bandiera tricolore dei nostri cugini d’oltralpe.
I due giovani (perfettamente coetanei) si incontrano per via delle lezioni di francese di cui lui ha disperato bisogno. Da parte sua lei continua a seguire un corso di giapponese fuori scena.
Già Truffaut, nel ciclo di Antoine Doinel, si era lasciato scappare la battuta che il miglior modo per imparare una lingua straniera è andare a letto con una persona che la parla, Il fascino indiscreto dell’amore (titolo italiano come sempre scivoloso rispetto al più significativo originale Tokyo Fiancée) trasforma la boutade in materia da lungometraggio.
Al centro del discorso una coppia di individui speculari. La loro storia si regge sin da subito sul fatto che l’uno vede nell’altro la perfetta realizzazione dei suoi desideri: lei cerca in lui il Giappone esattamente come lui vede in lei prima di tutto Francia. La passione sboccia tranquilla in un film che racconta l’innamoramento con leggerezza simpatica, miscelando lo spirito della commedia francese con alcuni elementi più vicini al cinema nipponico (e, in alcuni casi ad anime e toons come quando Amélie interrompe la piana narrazione del film in un improvvisato momento musical circondata da cuoricini pucciosi intrisi di spirito manga).
Un innamoramento nel quale lui sembra credere di più dal momento che solo lei, a un certo punto, comincia a temere il peggio e cioè il fatto che lei cerchi in lui solo quel Giappone che ama esattamente come lui vede in lei solo ed esclusivamente Francia.
La breve storia d’amore presta così il braccio a un racconto di reciproche incomprensioni in cui a confrontarsi sono, in fondo, due culture che non troppo facilmente stanno insieme. Non si è però dalle parti di Lost in translation dove l’intraducibilità delle lingue passa attraverso l’incomprensibilità dei sentimenti, ma ci si muove piuttosto nel terreno franco della commedia garbata, che strizza l’occhio a ogni passo a quella Amélie Poulain che ha fatto la gloria del cinema francese (anche se qui il nome Amélie è quello di Amélie Nothomb: l’autrice belga dal cui libro è tratto il film).
Non che manchino nel racconto momenti straordinariamente gustosi (su tutti la scena della cena in perfetto stile giapponese con Amélie costretta a tenere conversazione con perfetti sconosciuti perché questo è il ruolo culturale della donna in Giappone), ma si ha l’impressione che il racconto tenda a chiudersi in un’astrazione di genere che rende più innocua e meno densa la confusione culturale tra due mondi che si riconoscono diversi pur se accomunati da un’omologazione di marca anglosassone. Un’astrazione spezzata appena dal terribile terremoto e maremoto che misero in ginocchio il Giappone e che qui è solo un deus ex machina per affrettare le carte del finale: un’iniezione di realtà così improvvisa da apparire addirittura fastidiosa e quasi fuori tono.
Nel complesso, comunque, Il fascino indiscreto dell’amore appare un film comunque gradevole e a suo modo elegante. Piacevole ancorchè, forse, deja vu.


CAST & CREDITS

(Tokyo Fiancée); Regia: Stefan Liberski; sceneggiatura: Stefan Liberski; fotografia: Hichame Alaouie; montaggio: Frédérique Broos; musica: Casimir Liberski; interpreti: Pauline Etienne, Taichi Inoue, Julie LeBreton, Alice de Lencquesaing, Akimi Ota; produzione: Versus production; distribuzione: Fil Rouge Media; origine: Belgio, Canada, Francia, 2015; durata: 102’


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