X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Il giorno + bello

Pubblicato il 14 novembre 2006 da Alessandro Izzi


Il giorno + bello

Opera prima, dopo una serie di corti girati in digitale ad alta definzione, Il giorno + bello reca già nel titolo (con quel segno grafico al posto delle più tradizionali parole di senso compiuto) la volontà dell’autore di portare avanti un discorso serratamente sintetico, composto prevalentemente da brevi sketch linguisticamente compiuti ed autosufficenti che seguono, comunque, il dettato di una storia compatta e definita.
Da un punto di vista strettamente stilistico la pellicola sembra davvero ossessionata da un cinetismo disperato e barocco in cui il movimento e la giustapposizione costante di situazioni serve essenzialmente a fugare il terrore panico di una qualsiasi forma di stasi narrativa o di oasi contemplativa. L’obiettivo dichiarato dal regista è quello di far avanzare la sua piccola macchina narrativa il più rapidamente possibile verso il suo epilogo necessario quanto inevitabile.

Cappelli non è alla ricerca della poesia. Nè tantomeno insegue il fantasma di un realismo da cogliere in punta di piedi. Al contrario, con l’ironia mordace che preme ad ogni passo su ogni dettaglio dell’inquadratura, con i continui cartelli che, dividendo il corpo narrativo in tanti piccoli capitoli, rivendicano quasi brechtianamente la natura puramente finzionale dell’opera (mai per un solo momento lo spettatore deve dimenticare, immedesimandosi, di trovarsi di fronte a niente più che un semplice film), il regista dichiara apertamente la sua tensione verso un modello di cinema che è prima di tutto affabulatorio.

Il giorno + bello è, essenzialmente, un’operazione linguistica, un gioco narrativo ad incastro dove non contano tanto le situazioni piuttosto risapute della tipica commedia matrimoniale, ma i modi della loro messa in scena, il loro linguaggio e la loro capacità comunicativa.
Tutto il film, inseguendo un’idea di composizione cinematografica al fondo post moderna, si compone di una serie di piccoli frammenti tutti dominati da una precisa "maniera": dal piccolo episodio autoreferenziale con i novelli sposini che incontrano un "regista di matrimoni" ossessionato dal culto di Kubrick al momento pulp dell’addio al celibato, dalla commedia di costume a casa dei genitori sessantottini della sposa al tono sentimentale dell’epilogo e via elencando.
In una logica alla Kill Bill (anche lì in fondo si parlava di un matrimonio), Cappelli sembra divertirsi un mondo coi suoi frammenti di cinema mescolati alla Fuori orario, ma non spinge troppo sul pedale del citazionismo più sfrenato piuttosto preoccupato dall’idea di mantenere il suo film nei limiti di un racconto ancora accettabile dall’industria e dalla distribuzione e ancora sostanzialmente piacione nei confronti del pubblico.
Il suo è un film che fa proprie, insomma, le sincopi del linguaggio dei telefonini (il + al posto di "più" è, in fondo, legato alla pratica bassa dei messaggini di testo) e, da un certo punto in poi sembra quasi comporsi sulla successione di una serie di piccoli sms audiovisivi.

Ma non bisogna pensare che l’ossessione per la forma accattivante significhi necessariamente l’abolizione di ogni forma di contenuto. Anzi, da un certo punto in poi della proiezione, si ha quasi l’impressione che sia la forma stessa a ribaltarsi in contenuto. Sia pure per poco tempo.
In fondo, la pellicola di Cappelli, coi suoi continui cambi di registro ci sta parlando, sia pure involontariamente, di una società ormai abituata a tempi televisivi. Gli episodi si susseguono sullo schermo, perfettamente delineati, nella tempistica minima necessaria ad evitare il calo dell’attenzione e il conseguente uso del telecomando per cambiare canale. Per questo la pellicola porta avanti un’azione di alternanza di toni attentamente calibrata dove le parti più strettamente verbose, che si affidano all’estro degli attori (quanto avrebbe potuto fare Libero Di Rienzo con il personaggio di Ulisse che sembrava concepito appositamente per lui!), si intrecciano con quelle più visionarie o emotive.

Ma soprattutto, nel suo raccontare i preparativi per un matrimonio che avrebbe dovuto essere diverso da tutti gli altri, ma che, alla fine, si rivela essere come tutti gli altri, si fa strada, in maniera più consapevole, il ritratto di una società che sta facendo del trasformismo la sua bandiera più seguita. In un mondo dove destra e sinistra siedono a tavola conversando amabilmente su come seguire una tradizione non sembra più esserci posto per alcun valore da seguire con reale convinzione. Ogni cosa si ribalta nel suo stesso contrario ed essere reazionari o progressisti diventa in fondo la stessa cosa nel marasma del minestrone nel quale nuotiamo ormai da tempo abituati.
Il viaggio di nozze finale, con il doppio ribaltamento ironico che qui non riveliamo, non diventa, però, una via di fuga da una realtà (quella familiare e, quindi, per proiezione quella italiana tutta), ma rilancia nel chiuso dell’universo familiare il gioco del trasformismo. L’intera macchina narrativa si fonde su una parola mal compresa, sul possibile (resta aperto lo spazio di un dubbio) slittamento di una consonante in una parola. Una piccola incomprensione o, forse, un raddoppiamento: una parola che può voler dire se stessa, ma anche tutt’altro.

Peccato che questi motivi, in fondo, anche molto originali siano più adatti allo spazio ristretto di un mediometraggio che non di un film tout court. Dopo un po’ che il gioco si è palesato, lo spettatore, assordato dai continui salti di tono, finisce un po’ per assopirsi e si ritrova proprio nella condizione di spirito con cui si subiscono quei video matrimoniali così saporitamente messi alla berlina dal film.

[Novembre 2006]

(Il giorno + bello); Regia: Massimo Cappelli; sceneggiatura: Chiara Laudani, Massimo Cappelli; fotografia: Raoul Torresi; montaggio: Fabio Nunziata; musica: Giuliano Taviani; interpreti: Violante Placido (Nina), Fabio Troiano (Leo), Marco Manetti (Il regista di matrimoni), Shel Shapiro (Padre di Nina), Enrico Salimbeni (Franco), Carla Signoris (Madre di Nina), Marco Giuliani (Ulisse), Giuseppe Antignati (Renato), Patrizia Loreti (Madre di Leo), Sergio Di Giulio (Padre di Leo); produzione: Nuvola Film; distribuzione: Warner Bros; origine: Italia, 2006; durata: 90’; webinfo: Sito ufficiale

Enregistrer au format PDF