Il grande silenzio

“Ho raccontato il silenzio, il modo nel quale i monaci lo utilizzano per creare un proprio spazio interiore. Volevo che il mio film diventasse un monastero”. Così definì il suo lavoro Philip Gröning subito dopo la proiezione all’ultimo festival di Venezia.
È riuscito nel suo intento: l’idea si è trasformata in luogo, l’emozione del film nella sensazione quasi reale di vivere quella scelta.
Questo film nasce nei desideri di Gröning nel 1984. In quell’anno si recò presso i monaci francesi chiedendo loro il permesso di effettuare le riprese per il suo progetto. Come risposta ebbe un rifiuto motivato dal fatto che secondo loro i tempi non erano ancora maturi. Dopo 17 anni, all’improvviso, gli venne concessa la possibilità di realizzare la sua idea. Ha potuto così trascorrere sei mesi, tra il 2002 ed il 2003, con i monaci osservando la regola ferrea del silenzio e filmando al massimo per due ore al giorno la loro quotidianità la semplicità dei loro gesti, la freschezza delle loro convinzioni. In totale ha girato da solo e senza troupe 120 ore con una telecamera digitale HD e con un budget di circa 700.000 dollari. Per accordi presi con il priore non ha inserito nessun commento, nessuna musica aggiuntiva e non ha potuto usare nessuna luce artificiale.
Senza dubbio, essendo il film tutt’altro che uno sterile documentario, sembrerebbe necessaria una particolare propensione spirituale per poter penetrare nella ricchezza delle immagini. Così non è come, lo stesso regista afferma durante l’intervista: “La mia intenzione era creare uno spazio in cui lo spettatore può arrivare a riflettere su se stesso. Non ero interessato ad una mera contemplazione della vita altrui. Credo che la religione - in un certo senso - c’entri poco”. La serenità del film, attraverso la fluidità delle scene, arriva direttamente al cuore di tutti, donando un senso di pace a chi vive ritmi più frenetici e poco legati al misticismo che riempie l’intera pellicola. È la rigorosa semplicità della vita condotta dai frati a incantare e ipnotizzare il pubblico.
A conferma di ciò nel periodo di Natale, in Germania, con solo nove copie del film messe in circuito e con una campagna pubblicitaria praticamente nulla, Die Grösse Stille ha sbancato il botteghino, superando perfino Harry Potter nel rapporto proiezioni/incassi. Dopo il Premio Speciale della Giuria al Sundance Film Festival, anche qui in Italia ha trovato una distribuzione e quindi la possibilità concreta di uscire nelle sale.
Il film si apre con la pioggia che cade e le campane che suonano. Richiami alla preghiera nella pace dei cortili, coperti dalla neve, della Grand Chartreuse, il più grande monastero di Certosini al mondo, nei pressi di Grenoble, sotto la Grand Som.
Suoni, piccole isole nel mare di silenzio che in 160 minuti trasforma tutto. Non è intenzione del regista scovare le segrete motivazioni che spingono alcune persone a fare una scelta così radicale nella loro vita, né descrivere le loro personalità. La macchina da presa fa il suo lavoro discreto e racconta la semplicità di una vita, paradossalmente per i più, ricca di gioia.
In un mondo in cui la comunicazione è oggetto di studio e di continuo sviluppo i monaci non parlano quasi mai se non per cantare durante la liturgia delle ore o la celebrazione della messa dei bellissimi canti gregoriani. L’essenzialità fonte di valorizzazione del dono della parola. L’unico a rivolgersi direttamente allo spettatore è un vecchio monaco cieco che con brevi frasi descrive le sue convinzioni: “Non bisogna avere paura della morte. Più ci si avvicina a Dio, più si è felici”. Tutti gli altri monaci parlano attraverso le loro azioni. Così nitido è il suono degli attrezzi che usano, come la pala o le forbici, chiaro è il rumore dei passi nel chiostro.
Oltre alla comunicazione, uno dei personaggi di questo film è il fluire del tempo. Lo stesso regista ne sottolinea l’importanza nell’economia stessa dell’opera. Durante l’intervista dopo la proiezione del film a Venezia, quando gli hanno chiesto cosa avesse provato durante i sei mesi passati nel monastero, lui ha risposto che “Dall’inizio della nostra vita siamo circondati da questo miracolo chiamato tempo. È proprio il fluire del tempo che viene recuperato in un posto come quello: così diverso e particolare. In questo senso Il grande silenzio non è solo un film, bensì un’esperienza. Desideravo che allo spettatore venisse offerta la possibilità di conquistare uno spazio e percepire la vita dell’esistenza dei monaci. Per me la cosa più importante del film era fare in modo che le persone arrivassero ad interrogarsi” e ha aggiunto “Credo che questo film sia diretto a tutti gli esseri umani che esplorano il loro rapporto con il tempo. Il grande silenzio spinge tutti noi a porci delle domande nei confronti dell’esistenza e della vita tra i monaci”.
Con il suo desiderio di descrivere il tempo, il regista riesce a trasmettere la contemplazione dello stesso vissuta da questa comunità di monaci. In questo modo ogni piccolo aspetto della vita quotidiana diventa espressione fondamentale di una vita dedicata totalmente a Dio e così i monaci vivono in piccole celle con letti di paglia, la loro stufa è una piccola scatola di latta, ma la loro vita è stabile e intensa: ogni giornata è così organizzata che difficilmente si trova tempo per se stessi. Ci sono preghiere anche la notte. La vita è quella dell’eremita, ma al centro di una grande comunità. Ed è proprio la scelta del luogo a concretizzare la contemplazione del tempo in silenzio. “Un film si basa sul linguaggio e il linguaggio sovrasta il tempo” dice Gröning, “nel senso che quando guarda un film lo spettatore ha la percezione del tempo attraverso lo sviluppo della storia. Un film silente libera la percezione del tempo, la porta alla superficie perché il tempo non è più compresso all’interno di una storia, non è più disturbato da nulla. E questa libertà del tempo io l’ho trovata nell’esperienza in cui vivono i monaci”.
Altro aspetto della vita monastica raccontata da Gröning è il ritmo. Tutta la giornata è scandita da momenti dedicati a precise azioni. Tutto ruota attorno ai nove appuntamenti con la preghiera giornaliera, attraverso la liturgia delle ore e la celebrazione eucaristica.
“Il tempo e le immagini che si vedono rispecchiano la loro vita e certamente Dio in un certo senso” - dice ancora Gröning - “anche se ovviamente Dio non lo puoi filmare, come non puoi fare un film per parlare di ciò a cui loro credono, posso fare però un film in cui sarà lo spettatore a chiedersi a cosa credono e a cosa crede lui, in quel momento”.
“Mi hai sedotto Signore, ed io mi sono lasciato sedurre” dice il Signore nel libro di Geremia e lo riporta il regista nel film. Ma è possibile filmare la fede? Se riteniamo possibile descrivere la seduzione attraverso un film o solo un’interpretazione, perché non potrebbe essere realizzabile filmare la fede? Forse Gröning, non volendo, ci è riuscito.
(Die grösse Stille) Regia, soggetto, sceneggiatura, fotografia, montaggio, produzione: Philip Gröning;distribuzione: METACINEMA; origine: Germania/Svizzera 2004; durata: 162’
