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Il matrimonio è un affare di famiglia

Pubblicato il 18 aprile 2008 da Gianluca Cassetta


Il matrimonio è un affare di famiglia

“Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani né mai!”, avrebbe detto qualche simpatica canaglia al buon vecchio nonno Ugo – che poi interveniva e sistemava sempre tutto, salvando le nozze di qualche coppia in difficoltà che non sapeva di dover fare i conti con il caro vita, perdita del potere d’acquisto dei salari e via dicendo. Così compravano i mobili e poi non riuscivano ad arrivare alla quarta settimana: storie di giovani coppie inseguite dai creditori. Ma il problema diventa serio quando a dire che il matrimonio non s’ha da fare è proprio la madre dello sposo, perchè come ben sappiamo, il matrimonio è un affare di famiglia.
Presentato in concorso al Sundance film festival, raccogliendo il premio del pubblico, la pellicola diretta da Cherie Nowlan, regista australiana semisconosciuta, che aveva avuto esperienze precedenti nell’ambito della televisione e della pubblicità – il tutto condito da un discreto successo e qualche premio – Il matrimonio è un affare di famiglia sbarca finalmente in Italia. Mutuato già nella grafica di presentazione dall’archetipo al quale chiaramente si ispira – Little miss sunshine – con un tono giallo acceso, il film si presenta come uno dei prodotti più riusciti e validi di questo mese. Ironico, sarcastico: Il matrimonio è un affare di famiglia coinvolge e stravolge lo spettatore con le regole di una famiglia quasi surreale, dai ritmi esasperati ed esasperanti. Jean (Brenda Blethyn) è una mamma apprensiva, oppressiva, delusa, frustrata, egoista ed egocentrica. Donna di spettacolo, con un certo seguito locale, è una cabarettista che la mattina va a cucinare in una mensa per portare a casa da mangiare, e la sera si esibisce in spettacoli comici molto piccanti. Madre di due figli, Tim (Khan Chittenden) e Mark (Richard Wilson) – un ragazzo diversamente abile – blinda i suoi gioielli come farebbe il presidente di una qualsiasi squadra di calcio. La macchina si mette in moto nel momento in cui Tim conosce la bellissima Jill (Emma Booth). Tra i due nasce un amore in realtà molto poco approfondito, quasi ingiustificato – che puo’ essere compreso soltanto girando la chiave di lettura del genere. Jean non accetta che suo figlio possa innamorarsi: forse perchè ha fallito il suo di amore, forse perchè – e questo è uno dei punti cardine del film – lei stessa non è in grado di amare. Questa sua deficienza la porta ad assumere un atteggiamento di protezione ossessiva nei confronti dei figli: Tim non puo’ avere una donna al di fuori di lei, e Mark non puo’ e non deve uscire di casa. L’abbraccio di famiglia, tante volte invocato dalla mamma – unico momento di intimità fisica vero e proprio di Jean con i suoi figli – serve ad unire solitudini che per sbaglio si sono trovate a vivere insieme sotto lo stesso tetto. Un’idea di famiglia a pezzi, una famiglia frammentata – unita dall’ossessione di non perdere le tessere del mosaico, con una madre che non riesce a rendersi conto che i suoi figli sono cresciuti, e che lei non è l’unico essere umano al mondo a cui potranno voler bene. Una mamma gabbia, che ha perso il successo lasciandolo in Inghilterra per seguire il suo compagno e marito John (Frankie J. Holden) in Australia a cercare una fortuna che non sarebbe mai arrivata, trascinando dentro al fallimento anche il loro matrimonio. John è una guardia giurata: un tempo era un cantante, con un singolo in testa per ben tre settimane. Ma ahimè il successo svanisce anche per lui. Dalle stelle alle stalle, alti e bassi che si scontrano lasciando spazio a bassi prepotenti: una profonda e pungente analisi della vita, delle opportunità e della possibilità di considerare come un fallimento il totale vissuto – come vivere in funzione di un qualcosa, in attesa di sbancare il lunario: una severa e schietta analisi della metafora delle scale, c’è chi scende e c’è chi sale, ma rivisitata in chiave diversa: se le sali prima o poi le scenderai, e una volta sceso starà a te accettare il fallimento e iniziare un nuovo successo: proprio quello che non succede a Jean, che seppure alla fine acconsente alle nozze di suo figlio Tim con la bella Jill, invitandola nell’abbraccio di famiglia, non smentirà il suo egocentrismo e quindi la sua marcata solitudine cercandosi l’ultimo applauso del film. Ma a farla da padrone sullo schermo è lo scontro acceso e dalle tinte forti tra Jean e Jill: una sorta di scontro generazionale, di mentalità differenti, di donne diverse. La più piccola impegnata sul fronte per conquistare Jean, la più grande impegnata sul fronte per allontanare Jill da Tim. Due linee, insomma, una convergente e l’altra divergente: una sorta di figura geometrica su tela che sa ben dipingere la vicenda proiettata sullo schermo. Azzeccata anche l’idea di portare il mondo dei club sugli schermi: si respira il cabaret vero, quello di Las Vegas – anche se siamo a Sydney - si respira l’odore della vodka dei cocktail e il sapore delle noccioline e del fumo di sigaretta americana. Unica vera pecca – a parere mio – il titolo italiano del film: l’originale è Clubland – non che sia geniale anche questo, ma Il matrimonio è un affare di famiglia sembra spostare il film di registro: da una commedia intelligente – qual è – a una commedia leggera – quale non è. Sembra un po’ di rivedere quell’ormai celeberrimo caso de Se mi lasci ti cancello di qualche anno fa. Il film sarà nelle sale venerdì. La durata è ottima e l’intrattenimento è garantito: film da vedere assolutamente.


CAST & CREDITS

(Il matrimonio è un affare di famiglia); Regia: Cherie Nowlan; sceneggiatura: Keith Thompson; fotografia: Mark Wareham; montaggio: Scott Gray; musica: Martin Armiger; interpreti: Brenda Blethyn (Jean), Khan Chittenden (Tim), Emma Booth (Jill), Richard Wilson (Mark); produzione: Rosemary Blight;, distribuzione: Lucky Red: origine: Australia, 2007; durata: 105’; webinfo: [Sito italiano->http://www.luckyred.it/ilmatrimonio/


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