Il mercante di Venezia - Compagnia Civica

Arriva anche all’India, sulla scena romana, lo spettacolo che ha vinto il premio UBU di quest’anno per la migliore regia: una lettura drammaturgica del classico di Shakespeare, ad opera di una ex promessa del teatro italiano, Massimiliano Civica. Con il massimo riconoscimento teatrale il regista rietino approda all’ufficialità da Teatro Stabile, bruciando le tappe più velocemente di altri suoi pur illustri colleghi. A soli 33 anni è nominato direttore del teatro della Tosse di Genova, allestisce un cartellone attento alla nuova scena, insegna, tiene laboratori, ma per il momento non si è fatto produrre nessuno spettacolo dal teatro che dirige, non ha ceduto alle parassitarie logiche di scambio che rendono il panorama teatrale italiano un serbatoio asfittico.
Si potrebbero spendere centinaia di aggettivi su questo Mercante: essenziale, minimalista, rigoroso, frugale, nudo.
Finito lo spettacolo, il pubblico rimane basito per un solo motivo: si chiede come è stato possibile seguire la matassa inestricabile dei rapporti tra i numerosi personaggi del testo così attentamente. Come si è potuto assistere con una tale povertà di mezzi ad una così densa struttura narrativa, questo è il miracolo scenico di Civica, che riesce solo a grandi architetti della rappresentazione.
Appena 4 sedie per 4 attori, poi più niente. Tutto avviene sotto i nostri occhi, cambi di abito come altrettanti cambi di personaggi, movimenti pulitissimi che non si riducono a pura astrazione ma significano esattamente quello che sono, mai qualcosa in più.
Così la storia di vendetta e promesse non mantenute che ruota intorno all’amore di Bassanio per la ricca Porzia, all’amore di Antonio per l’amico Bassanio, all’amore idilliaco di Jessica e Lorenzo ritratti in quadretti a sé stanti, scorre come un fiume di parole distillate con intelligenza alle orecchie e al cervello degli spettatori, tutti incredibilmente efficaci nelle intenzioni drammaturgiche pur mantenendo un tono di voce il più possibile neutrale, senza alcuna emotività e senza alcun desiderio di mimesi.
Il testo così risulta svuotato fino all’osso di ogni connotazione simbolica, il regista mantiene solo lo scheletro performativo dei rapporti tra gli attori, e regala una nuova prospettiva all’opera shakespeariana. L’ebreo Shylock non è più il protagonista avido e crudele, è solo un personaggio tra gli altri, che si vede costretto a misurarsi con gli altri ad armi pari, sia Antonio che Porzia, sia Bassanio che Graziano mercanteggiano i sentimenti con la logica del dare ed avere.
Non a caso l’unico urlo (il fuori tono) dello spettacolo lo caccia Shylock, poiché è l’unico che ami qualcun altro senza pretendere nulla in cambio.
Un balletto meccanico bizantino, nonostante tutti gli sforzi di sottrazione.
Niente è fuori posto, persino l’avocazione di Civica all’enigma a cui rimanderebbe il testo rientra in una griglia preconfezionata. Quello che rimane fuori dalla scena è l’isteria, l’emotività viscerale, l’improvvisazione. In una parola: l’imprevisto della vita.
(Il mercante di Venezia) di William Shakespeare Regia: Massimiliano Civica; oggetti di scena: Anna Carucci e Giusi Sillavi; interpreti: Elena Borgogni, Oscar De Summa, Mirko Feliziani, Angelo Romagnoli; produzione: Fondazione Teatro Due e Compagnia Civica/Borgogni/De Summa/Feliziani/Romagnoli.
