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IL MIO MIGLIOR NEMICO

Pubblicato il 11 marzo 2006 da Alessandro Izzi


IL MIO MIGLIOR NEMICO

Curioso che due film tra loro così diversi come Notte prima degli esami e Il mio miglior nemico condividano una stessa traccia narrativa: la scoperta, per il protagonista maschile, che proprio l’oggetto dei suoi sogni e desideri, proprio l’amore della sua vita, sia, alla fine, la figlia di un vero e proprio nemico personale.
Entrambi i film, in modi spesso totalmente diversi, riportano in vita, in effetti, un tipico meccanismo fiabesco dove la missione dell’eroe dovrebbe essere quella di strappare dalle grinfie dispotiche del genitore la principessa di turno, magari attraverso una serie di prove più o meno difficili.
L’agnizione, il momento di riconoscimento dei legami parentali (che normalmente nel teatro comico è sempre il deus ex machina, il momento risolutivo in senso positivo dell’intreccio) non conduce, però, in nessuno dei due film, alla successiva eliminazione (non necessariamente fisica) del padre, ma porta, viceversa ad una sorta di rispecchiamento incredibile e paradossale tra eroe ed antagonista.
La nuova commedia italiana sembra aver definitivamente dimenticato cosa significhi l’uccisione, anche solo metaforica, del padre. La donna del cuore può anche essere conquistata (ma non necessariamente come nell’epilogo molto originale di Notte prima degli esami), ma tale conquista passa attraverso il vaglio del genitore, deve essere, in certa misura santificato dalla benedizione paterna.
Lo scontro generazionale, che fino a pochi anni fa generava drammi iperbolici, sembra potersi sciogliere in una realtà ulteriore perché le figure genitoriali (e quindi l’intero statuto della famiglia) sembrano aver perso la propria funzione storica e divengono delle realtà nuove più evanescenti e sfuggenti.
Il mio miglior nemico, da questo punto di vista, mette in scena tutta una serie di situazioni familiari, ma in ognuna di queste il rapporto genitori/figli sembra essere dominato da una sola idea di fondo: l’assenza.
Il padre di Orfeo (Muccino) è fuggito dal nucleo familiare prima della stessa nascita del figlio, la madre è una psicotica, mentalmente e sentimentalmente labile e sempre pronta ad abbandonare il ragazzo ad ogni piè sospinto in cerca di una non meglio precisata gratificazione personale. Il padre di Cecilia (Verdone) vive preso in una realtà egocentrata e dominata dall’idea dei soldi e del benessere personale, la madre è una figura da operetta necessaria solo ad alcune scene comiche, ma non sembra avere nessun rapporto fattivo né col marito, né tantomeno con la figlia.
A fronte di una vecchia generazione che può ancora essere rappresentata con gli stilemi di una vecchia commedia all’italiana, con figure ad un passo dalla maschera pura e semplice (e in questo Verdone rispolvera con maestria una maniera perfettamente in bilico tra ironia e tragedia), la nuova generazione sembra non avere reali punti di riferimento.
I ragazzi, insomma, dopo essere stati diseducati da padri così inesistenti e distanti, hanno come unico segno distintivo una disperata urgenza di affetti e comprensione.
Gli uomini che, secondo la dinamica della fiaba, dovrebbero strappare la bella dal suo nucleo familiare, sono a tal punto affamati di una reale figura paterna che, appena incontrano il padre dell’amata, lo prendono a riferimento, disperatamente ansiosi di un contatto fisico e spirituale.
Ed è in questa realtà generazionale che Il mio miglior nemico rivela il suo lato migliore: nella contrapposizione iniziale tra la commedia grottesca dei padri e la disperata anelante romanticheria dei figli (si pensi alle scene di amore al mare, ai lunghi corteggiamenti, ai soli rossi di tramonto) che si sciolgono, alla fine, l’una nell’altra nell’utopia di un viaggio di crescita e di miglioramento per ognuno.
Il film di Verdone fiuta l’aria dei tempi e tenta, attraverso un racconto che ha il solo difetto di seguire troppe strade (dalla commedia agrodolce dell’inizio, al racconto di un altro viaggio con papà), di restituire lo sbando imperante del mondo contemporaneo. Con la messa in scena di padri insensibili (ma al fondo buoni) e di figli più saggi o, se non altro, più onesti (nella loro ricerca ormai solo sentimentale) dei loro stessi genitori, Il mio miglior nemico è opera densa e interessante, ma ha il difetto, imperdonabile in una commedia, di lasciarsi andare ad un generale tono assolutorio.
E resta al fondo l’amarezza di vedere come, nel finale, tutti i figli siano, in un modo o nell’altro, condannati a prendere, alla fine, il posto dei padri: Nicolas Vaporidis (in Notte prima degli esami) diventa egli stesso un insegnante di lettere come il suo antagonista Faletti, mentre miglior sorte tocca al giovane Muccino che parrebbe essere destinato a diventare, al cinema, nuova maschera dell’italiano medio.
Se qualche riserva ci va di muovere sulla maschera in sé, sarebbe però sleale, da parte nostra, non ammettere che, come attore (ma anche come autore), il giovane Silvio conferma, in questo film, una sensibilità ed una capacità di entrare nel ruolo rare per un attore della sua generazione. Ed in questa scoperta sta uno dei pregi indiscutibili del film.

[marzo 2006]

(Il mio miglior nemico); Regia: Carlo Verdone; sceneggiatura: Carlo Verdone, Silvio Muccino, Pasquale Plastino, Silvia Ranfagni; fotografia: Danilo Desideri; montaggio: Claudio Di Mauro; musiche: Paolo Buonvino; interpreti: Carlo Verdone (Achille De Bellis), Silvio Muccino (Orfeo Rinalduzzi), Ana Caterina Moriaru (Cecilia), Agnese Nano (Gigliola Duranti), Corinne Jiga (Ramona), Sara Bertelà (Annarita Rinalduzzi), Paolo Triestino (Guglielmo Duranti); produzione: Aurelio De Laurentiis; distribuzione: Filmauro; origine: Italia, 2005; durata: 115’; web info: Sito ufficiale

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