Il mio vicino Totoro

Pare proprio che l’Italia serbi un destino simile ai più bravi registi nipponici: le loro opere impiegano infatti tempo immane per raggiungere le sale e il cuore della critica. Hayao Miyazaki, premio Oscar per La città incantata nel 2002 e Leone d’oro alla carriera nel 2005, ne è la conferma. È come se ci fosse ancora una cortina di ferro culturale ad impedire la fruizione di film che, non appena distribuiti, puntualmente non tardano a fare breccia nei cuori degli spettatori armati d’inveterata pazienza. Se il cinema orientale in generale non riesce a sgomberare il mercato dei pregiudizi più ostinati e delle diffidenze più ingiustificate, quello giapponese d’animazione si ritrova a dovere combattere contro ombre perfino più insidiose. Arriva così, in Italia, a distanza di oltre vent’anni una delle maggiori testimonianze della bravura targata Far East: Tonari no Totoro - Il mio vicino Totoro scritto, diretto e realizzato da Hayao Miyazaki.
La fantasia del Miyazaki delle origini risulta fresca anche a distanza di tanto tempo e dopo la visione delle opere successive. Il mio vicino Totoro, il quarto lungometraggio del maestro del pacifismo disincantato e dei valori familiari tradizionali, raccoglie ed espone le componenti più ricorrenti dell’estetica miyazakiana, con quei colori pastello così morbidi e quelle tinte che ricalcano il Naturalismo paesaggistico di Hiroshige, i personaggi provenienti dal mondo dell’infanzia, i sottotesti simbolici nascosti nell’orizzonte del visibile, negli aforismi immaginifici dell’universo giapponese.
Grazioso racconto di due sorelline, Satsuke e Mei, e del loro incontro con le magiche creature del bosco, Il mio vicino Totoro raccorda la mistica ecosofica orientale con la dimensione antropocentrica occidentale: se i protagonisti di Miyazaki sono sempre dei bambini, non secondario è il ruolo dell’ambiente che li circonda. Contrariamente a concetti come quello oshiano, in cui lo spazio sembra risucchiare vertiginosamente le vittime umane, qui la natura gioca un ruolo comprimario, catturando lo sguardo degli spettatori con la sua immensità incontaminata, vistosa e surreale.
Il paesaggio, esattamente come nell’indimenticabile anime Mirai shōnen Konan - Conan il ragazzo del futuro, si contende con gli “umanoidi”, comunque mai sprovvisti di un solido surplus psicologico e del pathos primordiale (la madre delle bambine è malata), l’attenzione del pubblico, soggetto ad un processo di fascinazione consapevole e inarrestabile. Intorno a esso Miyazaki crea una sottile suspense e i suoi fan colgono l’occasione per lasciarsi travolgere dalla sua mirabolante creatività dosata nei colpi di delicate pennellate. Mancano certe acrobazie grafiche e il ritmo compulsivo dell’azione tipiche di altri film come Il castello errante di Howl, ma basta l’incredibile carrellata di personaggi, affrescati secondo la cifra stilistica evergreen del maestro, a recuperare i piccoli gap: da Totoro, spirito buono, grande e grosso come un orsacchiottone felino (usato poi dal regista come logo dello Studio Ghibli) che possono vedere solo i bambini, al Gattobus che percorre lo spazio come un Galaxy Express della campagna, dai nerini del buio ai corrifuliggine, spiritelli delle vecchie case abbandonate, fino alla proverbiale nonnina grinzosa.
È per tutti questi motivi, occultati dalla struttura testuale, e dall’afflato cinestetico, che il plot è ridotto ad un impianto essenziale e preciso: Miyazaki non ha bisogno di rivoli e storie complementari per ingraziarsi il pubblico e sorprenderlo con trovate narrative arzigogolate. Le sue storie, tacciate a torto di semplicismo, meritano di essere congiunte al fantastico cosmo che ogni volta la sua mente è in grado di ri-creare. L’estasi visionaria di Miyazaki ci regala un’opera garbata che l’inconfondibile musica di Joe Hisaishi contribuisce a rendere un’incursione spirituale, malinconica ma non nostalgica, nel minimalismo poetico delle radici, di un altro tempo. Se la quintessenza del cinema è l’arte di sottoporre chi lo guarda al duplice processo della doppia credenza, per cui ci s’immerge nella materia filmica e onirica nonostante si ricordi di essere al cinema, il fantasy emozionante di Miyazaki è cinema allo stato puro.
(Tonari no Totoro); Regia e sceneggiatura: Hayao Miyazaki; animazione : Yoshiharu Sato ; dipinti: Kazuo Oga; montaggio: Takeshi Seyama; musica: Joe Hisaishi; voci dell’edizione italiana: Letizia Ciampa (Satsuki), Lilian Caputo (Mei), Oreste Baldini (il padre), Roberta Pellini (la madre), Liù Bosisio (nonnina), George Castiglia (Kanta) e Vittorio Amandola (Totoro); produzione: Studio Ghibli; distribuzione internazionale : Lucky Red; origine: Giappone, 1988; durata: 86’; sito web: www.luckyred.it/totoro/.
