Il paese delle spose infelici - Perché no
Ci sono film che vivono di atmosfera e rimangono attaccati addosso.
Entrano in gioco dei processi identificativi ed evocativi, che vanno oltre l’esperienza vissuta in sala.
Il paese delle spose infelici di Pippo Mezzapesa prova ad essere uno di questi.
Racconta la storia di un gruppo di ragazzi fotografati nel passaggio tra l’età adolescenziale e quella adulta che, in una Taranto estiva e disincantata, passano le giornate a giocare a pallone, fantasticare sulle donne e farsi il bagno nell’attesa di qualche cosa che deve arrivare, di una strada che si deve compiere. Questo equilibrio viene rotto, un giorno, dal salto si una donna misteriosa che si butta dalla chiesa (e viene salvata dai pompieri). I due protagonisti, affascinati, tenteranno diversi approcci con lei fino a diventare suoi amici e disperati corteggiatori. Sullo sfondo, la piccola criminalità, mostro in agguato, acquattato nell’ombra nell’attesa che uno di loro faccia un passo falso.
Gli ingredienti ci sono tutti: l’amore, il dolore, l’amicizia, la passione, il sesso, i sogni e le disillusioni. Ci sono tutti ma non bastano.
Il film è girato con attenzione ed arriva a soluzioni visive interessanti. La storia invece si perde, nell’ambizioso tentativo di rendere un momento tipico nella vita di ogni ragazzo: il sapore dell’estate che segna il passaggio definitivo tra l’infanzia e il domani; quell’estate che rimane nella memoria e che una volta passata, segna la fine del mondo per come lo si conosceva.
La storia, tratta da un romanzo di Mario Desiati, non regge il confronto con le sue stesse aspirazioni e un po’ si perde in impietosi confronti con grandi registi che sono riusciti in questa difficilissima impresa.
La caratterizzazione dei personaggi è tratteggiata in maniera troppo leggera, i contorni non sono sfumati ma sbiaditi, i processi di crescita, che probabilmente sulla carta funzionano alla perfezione, portati sul grande schermo si perdono, svuotandosi di ogni potenza emotiva.
Una storia esile, che contrasta con la potenza visiva del film, che riesce togliersi di dosso il provincialismo delle opere italiane e a raccontare un sud verace e autentico. Roccioso, spigoloso, desolato, squallido e incredibilmente bello. Riesce a raccontare la dignità della disperazione. I personaggi interessanti di questa vicenda, sono quelli che con essa hanno poco a che fare. Gli adulti che, disillusi e schiacciati dal peso della vita, reagiscono e si la affrontano con un piglio mai retorico o prevedibile. Uomini e donne che continuano a coltivare la speranza di un futuro se non migliore, almeno, diverso.
Il paese delle spose infelici è un film fragile che trova il suo valore nella attenzione per i particolari, per le cose piccole destinate ad essere ignorate, non riuscendo in un intento, forse, troppo ambizioso per un’opera prima.
(Il pese delle spose infelici) Regia: Pippo Mezzapesa; soggetto: tratto dall’omonimo romanzo di Mario Desiati; sceneggiatura: Antonio Leotti, Antonella Gaeta, Pippo Mezzapesa; fotografia: Michele D’Attanasio; montaggio: Giogiò Franchini; musica: Pasquale Catalano; interpreti: Nicolas Orzella (Veleno), Luca Schipani (Zazà); Cosimo Villani (Cimasa), Vincenzo Leggieri (Capodiferro), Gennaro Albano (Natuccio); Aylin Prandi (Annalisa), Antonio Gerardi (Vito Cicerone), Roberto Corradino (Graziano), Valentina Carnelutti (madre Veleno), Rolando Ravello (padre Veleno); Nicola Rignanese (Cenzoum), Teresa Saponagelo (madre Natuccio); produzione e distribuzione: Fandango; origine: Italia; durata: 82’.