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Il principe abusivo

Pubblicato il 17 febbraio 2013 da Alessandro Izzi
VOTO:


Il principe abusivo

Un film di genere ha delle regole che vanno rispettate.
Quando un autore decide scientemente di non rispettare quelle regole, esce dalla dimensione del genere per esplorare strade nuove. Viceversa, quando certe regole non sono rispettate per incuria, incapacità, o incertezze che non portano su lidi nuovi, si ha a che fare col film sbagliato.
Tra le regole codificate della commedia raffinata ce ne sono tre che ci sembrano particolarmente importanti.

La prima: non importa quanto assurda sia la premessa e quanto improbabile il lieto fine verso cui si tende, quel che conta è che lo sviluppo sia sempre e in ogni suo punto verosimile. Sia pure dato che il racconto è, resta e non vuole essere altro che una favola, ma «raccontare» ha delle regole e se il disegno generale può avere dell’incredibile, credibile deve essere, invece, ogni singolo dettaglio che lo compone.
La seconda: perché il lieto fine brilli in tutto il suo fulgore, è fondamentale che esso sia preceduto da un evento catartico, da un punto di morte rituale che lo esalti per contrasto. Il lieto fine non è una condizione del racconto (gli italiani lo dimenticano troppo fatalmente), ma un dono che arriva alla fine. E quanto più sarà sofferto tanto più apparirà munifico.
La terza: ogni narrazione, come la musica, vive di contrasti, di alternanza tra momenti allegri ed altri seri, tra commedia e tragedia. Anche il comico affonda le radici nel dramma. E anzi, quanto più sarà profondo il dolore della terra, tanto più sarà liberatoria la risata che ne esce fuori come un fiore che volge la corolla al sole.
Forti di queste tre premesse, vediamo cosa combina Siani col suo Il principe abusivo.

La premessa è assurda come è giusto che sia: una principessa si innamora di un povero.
Siamo di fronte all’ennesima favola di Cenerentola anche se le parti son qui invertite perché il protagonista è maschio e il principato non ha eredi pronti a subentrare ai vecchi.
Il disegno è incerto nelle sue linee fondamentali: la principessa cerca il povero perché, vendendo care le foto dell’improbabile fidanzamento ai giornali, guadagnerà in popolarità. Soluzione credibile, questa, per il pubblico, solo per grande amor di commedia.
I dettagli sono, infine, risibili. Come spettatore si può ancora accettare che una principessa di innamori di un buzzurro, ma desta meraviglia che quest’amore sbocci solo perché la prima ha sentito recitare a memoria dal secondo una poesia del suo autore preferito. Tanta fatica a descrivere l’inconciliabilità tra due mondi e poi la bella capitola al primo goffo tentativo di corteggiamento? Dove sono le schermaglie d’amore? Dov’è il reciproco conoscersi? Quand’è che lei scopre lui? E perché? Dov’è il percorso che va dal punto A al punto B?
Raccontare significa sviluppare. Raccontare all’interno di un genere codificato è come unire i punti a cercare un disegno che, puoi starne certo, capirai quando avrai finito. Ma qui è come fare un cruciverba con una matita spuntata. Le lettere magari le metti pure tutte al posto giusto, ma chi guarda da fuori non legge che solchi sulla carta.

La dinamica si invera anche nella dimensione dell’organizzazione spaziale del racconto. Prendete la scena del balcone per averne esempio limpido. Lui corteggia lei mentre un terzo fa il Cyrano della situazione. Ad un certo punto, per cercar risata, passa un giardiniere con le cesoie in mano e taglia le rose. Non le sta raccogliendo. Non sta lavorando (anche perché a chi verrebbe in mente di cogliere le rose in piena notte?). Sta lì solo per far battuta. Nelle scene dall’alto, soggettiva del balcone, non si vede neppure. Coerenza vorrebbe che passasse alla destra di Siani per poi trovarglisi davanti e, invece, tagliata la rosa del sorriso, scompare di scena di botto come non ci fosse mai stato. Sarebbe anche sensato, quest’esserci e non esserci di un servo in un posto in cui la servitù si materializza all’improvviso, ma il giardiniere non ha lo stesso statuto del traduttore «italiano-sianese» «sianese-italiano». In scena lui ci entra, non ci appare e desta quindi meraviglia che poi scompaia. Come lascia interdetti l’idea che lui passi in mezzo ad un fazzoletto di terra che è largo un metro per un metro, e non si accorga nemmeno che lì ci sono tre persone che parlano tra loro.
Di queste incongruenze il film è zeppo e solo alcune ambiscono ad avere un senso. La maggior parte delle altre son lì perché così si fa la gag.

Allo stesso modo si confondono le carte del punto di morte rituale. Avviene, forse, quando Siani scopre che l’amata (ma quand’è che se n’è innamorato? Noi non ce ne siamo accorti!) lo sta sfruttando. Ma sorge poi il dubbio che sia dopo, quando lei ormai s’è innamorata di lui (è bastata solo una poesia di Prevert) e lui la lascia perché i loro mondi sono troppo diversi. Nel primo caso sarebbe troppo presto (e, infatti, il racconto ricomincia con la nuova quest dell’eroe: far innamorare di sé la bella), nel secondo caso è troppo poco (lui la lascia per saggezza acquisita e non per disperazione: un prefinale malinconico piuttosto che drammatico). In ogni caso il finale non riesce ad essere fuoco d’artificio perché ha troppo pasticciato in mezzo, non ha saputo fornire una direzione forse perché non sapeva neanche lui bene cosa dire. Perché da tutto questo ragionar d’amore vien fuori più che altro che due mondi diversi possono incontrarsi, ma il lieto fine è possibile solo se uno ammette l’implicita superiorità dell’altro e accetta di trasformarsi. In questo caso non è la zucca a farsi carrozza, ma è la nobile a inverarsi in scroccona.

Siccome il lieto fine condiziona ad ogni passo il racconto e non è più il dono, ma l’incarto, ne consegue che l’alternanza di stati d’animo nel film sia più presunta che reale. Mancano nella pellicola momenti di acuta malinconia, anche se non manca,in Siani, la pretesa quasi di essere una sorta di nuovo Troisi. Tutto vira sul tono di commedia leggera, tutto ruota intorno a sorrisi senza preoccupazioni. Tutto annaspa nella mancanza di contrasti, nell’assenza di chiaroscuri.

Ne viene fuori, per tutte queste ragioni, un film al fondo abbastanza pretenzioso.


CAST & CREDITS

(Il principe abusivo); Regia: Alessandro Siani; sceneggiatura: Alessandro Siani, Fabio Bonifacci; fotografia: Paolo Carnera; montaggio: Valentina Mariani; musica: Umberto Scipione; interpreti: Alessandro Siani, Sarah Felberbaum, Christian De Sica, Serena Autieri, Marco Messeri, Salvatore Misticone, Nello Iorio, Lello Musella, Alan Cappelli Goetz; produzione: Cattleya con Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2013; durata: 97’


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