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Il profeta

Pubblicato il 21 marzo 2010 da Antonio Valerio Spera


Il profeta

Con Un prophète, presentato in concorso a Cannes 2009, il cinema francese dimostra nuovamente di sapersi districare con originalità nel cinema di genere. Gli elementi di originalità non risiedono tanto nello sviluppo della trama, quanto nel ritmo dello stesso e nell’atmosfera che pervade l’intera opera. Il film di Jacques Audiard non è infatti il classico prison-movie, genere a cui si può sussumere: è proprio il tocco del regista a dare qualcosa di nuovo. Audiard non punta tanto sull’azione né rende troppo drammatica ed ansiosa la rappresentazione della difficile (e corrotta) vita carceraria. Sicuramente la storia – alternata tra il claustrofobico carcere e le “missioni” esterne a cui partecipa il protagonista – lo aiuta, ma affascina e coinvolge il clima da gangster-movie che il regista costruisce attorno al racconto.
Un prophète ritrae sì la violenza che governa l’esistenza nella prigione e, in un certo senso, descrive anche una storia d’evasione, ma tutto ciò acquista visivamente e narrativamente una valenza differente. Innanzitutto, l’evasione dal carcere non consiste in una vera e propria fuga. Il giovane Malik, condannato a sei anni, sconta interamente la sua pena: per lui evadere non significa scappare dalle sbarre della sua cella, bensì portare a suo favore i giochi di potere interni (ed esterni) alla prigione e quindi sconfiggerli, non per una giustizia morale, ma per risultare alla fine l’unico vero vincitore. Inoltre, venendo alla descrizione della violenza del mondo carcerario, essa non possiede un intento di denuncia nei confronti della polizia penitenziaria, né racchiude in sé un sentimento empatico e pietoso nei confronti della vittime. Jacques Audiard inserisce le situazioni di violenza carceraria (sia tra detenuti stessi sia tra detenuti e guardie) nel contesto narrativo delle dinamiche “gangsteristiche”, ed esse sono poste sullo stesso piano delle azioni omicide a cui partecipa Malik quando ottiene giornate di permesso fuori dalla prigione.
In poche parole, nonostante l’ambientazione ci consenta di definirlo un prison-movie, assistiamo più che altro ad una sfida tra bande, tra gruppi mafiosi, che viene mossa principalmente dall’interno del carcere. Il film mostra infatti una realtà corrotta, un mondo che la giustizia e lo Stato non riescono a governare. Al boss Cesar Luciani fa poca differenza stare in una cella o vivere a casa sua, perché è sempre libero di giostrare i suoi affari come vuole.
Il fascino e la bellezza di Un prophète, dunque, risiede proprio nel ritratto di questa congruenza tra il “dentro” e il “fuori” e nel modo in cui Audiard sa dare lo stesso ritmo alle vicende in interni e a quelle in esterni.
L’autore francese, che ha anche scritto la sceneggiatura insieme a Thomas Bidegain, offre una prova di regia notevole, equilibrando azione e descrizione dei personaggi. Il film è girato quasi interamente macchina a mano, il montaggio dà alla narrazione un ritmo veloce ma mai forsennato, ed ogni dialogo è costruito sapientemente (tra l’altro alternando francese e lingua corsa). Eppure, qualcosa va rimproverato ad Audiard. Alcuni inserti onirici non convincono del tutto, anzi. In quelle sequenze il regista si fa prendere troppo la mano, cercando di inserire degli spunti evidentemente originali e personali di cui non si sentiva l’esigenza. Tali momenti così come altre scene costruite su lunghi dialoghi potevano tranquillamente essere tagliate al montaggio: il film ne avrebbe giovato e si sarebbe ridotta l’infinita durata di 150’.
Al Festival di Cannes il film è stato accolto da lunghissimi applausi e ovazioni e si è portato a casa il Grand Prix. Fino all’ultimo momento si vociferava di una possibile Palma d’Oro, ma Isabelle Huppert e la sua giuria hanno giustamente fatto trionfare Michael Haneke. Il profeta si è comunque fatto strada in questo anno ottenendo riconoscimenti in tutto il mondo e ricevendo anche la nomination all’Oscar per il miglior film straniero. Ora finalmente esce nelle sale italiane e siamo curiosi ed anche molto preoccupati per il doppiaggio. Speriamo che la bellezza del polilinguismo corso-francese si perda il meno possibile.


CAST & CREDITS

(Un Prophète) Regia: Jacques Audiard; sceneggiatura: Jacques Audiard, Thomas Bidegain; fotografia: Stéphane Fontaine; montaggio: Juliette Welfling; suono: Brigitte Taillandier, Francis Wargnier, Jean-Paul Hurier; interpreti: Tahar Rahim (Malik), Niels Arestrup (Cesar Luciani), Adel Bencherif (Ryad), Reda Kateb (Jordi); produzione: Why Not Productions/Page 114/France 2 Cinema/UGC Images/BIM Distribuzione; origine: Francia; durata: 150’.


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